Associazione Gente del 15° (Aut. Ministro della Difesa 8 Giugno 1995) 30° Anniversario
Roma, Febbraio 2025
Amici carissimi, il patrimonio più prezioso per la nostra Associazione siamo noi stessi, i soci che negli anni continuano a dimostrare l’attaccamento e la condivisione degli scopi acquisiti trent’anni fa e mantenuti nell’appartenenza al 15° Stormo per perpetrarne le tradizioni, i valori e lo spirito di corpo. Questo patrimonio, una volta numericamente consistente, si è nel tempo inesorabilmente indebolito e oggi rispetto ai primi anni è ridotto notevolmente. Alle naturali conseguenze del passare del tempo si aggiungono altre cause di allontanamento dall’Associazione: la distrazione che ci porta a una frequentazione sociale discontinua, l’incombenza di pressanti problemi personali e di famiglia, l’affievolirsi del sentimento associazionistico, oppure semplicemente non ci si ricorda di corrispondere la quota associativa annuale nei tempi previsti. La riduzione di soci, le sospensioni dei pagamenti per qualche anno e le regolarizzazioni tardive della quota annuale, il cui termine è stabilito dal nostro Statuto e dal Regolamento nel 31 gennaio, determina notevoli problemi di amministrazione e di gestione:
non avendo tempestiva contezza del numero di soci che ogni anno corrisponde la quota, si riesce con difficoltà a delineare i bilanci entro i termini previsti (febbraio per il Bilancio Previsionale dell’anno in corso e marzo per il Bilancio Consuntivo dell’anno precedente);
le iniziative sociali e i programmi di attività realmente sostenibili a fronte della programmazione possono essere stabiliti e avviati tardivamente, sovente solo nel secondo semestre quando la situazione finanziaria si delinea con maggiori margini di certezza.
La corresponsione della quota annuale è un atto concreto e formale che, oltre a garantire al socio il mantenimento dello status (con i suoi diritti e doveri), ha fondamentale rilevanza fiscale per l’Associazione in quanto la normativa nazionale per gli enti di tipo associativo, quale è l’AG15, impone che vi sia corrispondenza tra i bilanci e le quote sociali, unica voce di entrata ammissibile; ciò determina un effetto immediato anche sulla tenuta a giorno del “Libro dei Soci” per l’anno in corso, il documento ricognitorio della quantità di soci iscritti che, essendo ai fini fiscali il riscontro unico dei titolari dello status di socio in regola con la quota annuale (il Socio Effettivo), non può che riconoscere e contenere solo ed esclusivamente questi ultimi.
Lo Statuto e il Regolamento dell’AG15 forniscono gli strumenti affinché l’Associazione possa conformarsi a questa necessità di natura tributaria-amministrativa, prescrivendo che il socio cessi l’appartenenza all’Associazione, fra gli altri motivi elencati, per mancato pagamento della quota annuale (artt. 5 e 11 dello Statuto e artt. 10 e 11 del Regolamento, cfr. https://www.gd15.it/wp-content/uploads/2024/06/GENTE-DEL-15-Statuto-e-Regolamento Edizione-2024.pdf ).
Nel corso del 2025 è intendimento del Consiglio Direttivo completare la regolarizzazione della situazione dei soci che effettivamente hanno intenzione di seguire e sostenere con continuità la vita associativa mantenendo nel tempo la loro qualifica di Socio Effettivo; dovremo quindi escludere dal “Libro dei Soci” tutti gli iscritti che non risulteranno in regola con la quota di quest’anno, concludendone così permanentemente e a ogni effetto l’appartenenza all’Associazione. È nostro intendimento concludere i procedimenti di esclusione nel mese di aprile, così da riportare la situazione amministrativa generale – consistenza consolidata dei Soci Effettivi 2025 e bilanci 2024 e 2025 – all’Assemblea Generale dei Soci. Sottolineiamo che una volta emesso il provvedimento di esclusione, non è contemplata la possibilità di richiedere una successiva re iscrizione all’Associazione. Facendo seguito alla lettera di sensibilizzazione sul medesimo argomento inviata dal Presidente agli inizi dell’anno, segnaliamo a coloro che, ritardatari nella corresponsione della quota rispetto al trascorso termine del 31 gennaio, volessero regolarizzare la propria posizione lo potranno fare, solo per quest’anno e in via successivamente non ripetibile, entro il periodo di completamento dei provvedimenti di esclusione (aprile 2025); il sito web dell’Associazione – https://www.gd15.it/quota-sociale-2025/ – contiene le informazioni necessarie per il rinnovo della quota sociale e per l’iscrizione di coloro che vorranno unirsi a noi come nuovi soci. Infine, ma non da ultimo, sono a disposizione tutte le Sezioni territoriali con i loro rispettivi Presidenti e Consigli Direttivi, ai quali potete rivolgervi.
Confidiamo nel rimanere numerosi a salutarci con il nostro
Di seguito la lettera di convocazione dell’Assemblea Generale ordinaria nella sua sessione autunnale a firma del Presidente dell’AG15, Generale D.A. Giacomo De Ponti.
La data fissata è per il prossimo 12 dicembre 2025.
Domenica 5 ottobre ore 18:48, sono reperibile per allarme SAR nazionale quando squilla il telefono e leggo
“Sala Operativa 85°”, rispondo immediatamente e…“Abbiamo un esecutivo, devi venire in campo”.
Mi vesto, do un bacio ai bambini e spiego velocemente a mia moglie che sto partendo per andare a recuperare qualcuno che ha bisogno di noi. Lei è chiaramente preoccupata ma la rassicuro dicendole che andrò in volo con un istruttore esperto, chiudo la porta e salgo in macchina.
Mentre guido ripeto a me stesso “Dai che questa è la volta giusta, mi hanno chiamato altre tre volte e non sono mai partito per un soccorso reale”.
Arrivo in aeroporto e vado subito in sala operativa, raccolgo le informazioni necessarie per pianificare e, mentre allestiscono l’elicottero con l’attrezzatura necessaria per il soccorso, noi dell’equipaggio facciamo un briefing dettagliato su cosa ci aspettiamo e come ci comporteremo durante il soccorso.
Ultimi coordinamenti con il Desk Rescue Coordination Centre e con il personale presente sul posto del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS) e finalmente si sale sull’elicottero.
Mettiamo in moto, indossiamo i visori notturni e alle 20:29 la RILA decolla direzione Rifugio Ciro Manzini, 2.522 metri di altitudine, alle pendici settentrionali del Monte Amaro per recuperare 4 persone impossibilitate a muoversi e a rischio di ipotermia.
Quando ci troviamo in prossimità del massiccio della Maiella, vediamo delle nuvole che potrebbero ostacolare il soccorso, ma superata la cima del Monte Amaro la situazione sembra leggermente migliore.
Avvistiamo finalmente il rifugio e il capo equipaggio effettua delle ricognizioni per capire come sono i venti di caduta che potrebbero destabilizzare l’elicottero durante la fase di avvicinamento al target. Vediamo,
inoltre, che ci sono delle nuvole basse che ci lasciano poco margine di quota per operare e le performances dell’elicottero non ci permettono di recuperare in un’unica volta i 4 ragazzi da soccorrere ed il personale del CNSAS.
IL Capo Equipaggio durante la ricognizioneIl rifugio di Monte Amaro
“Ci siamo” dice il capo equipaggio, “il prossimo avvicinamento sarà per un atterraggio”. Abbiamo studiato la zona e preso tutti i riferimenti necessari, il terreno è innevato ma non sappiamo quanto sia soffice la neve sulla quale poggeremo le ruote.
Le persone soccorse a bordo del HH-139 dell’85° Centro
Atterriamo e l’aerosoccorritore scende per recuperare i 4 ragazzi, che salgono con difficoltà e cautela a bordo, si legano e decolliamo direzione ospedale SS. Annunziata di Chieti dove finalmente li consegniamo al personale del 118 per effettuare i dovuti controlli medici.
Lo sbarco delle persone soccorse all’ospedale – 1 –Lo sbarco delle persone soccorse all’ospedale – 2-
Stacchiamo ancora le ruote da terra per tornare una seconda volta sul Monte Amaro per prendere i 3 soccorritori del CNSAS, ma questa volta dobbiamo andare all’aeroporto di Pescara perché il carburante non è sufficiente per rientrare a Pratica di Mare.
Mentre riforniamo l’elicottero, facciamo un briefing con i ragazzi del CNSAS su dove dovremo lasciarli per poter tornare a casa e così, riavviamo i motori e decolliamo da Pescara. Lasciamo, dunque, il personale del CNSAS e si torna a Pratica di Mare, dove la RILA atterra alle 23:54, de-briefing della missione, ultime pratiche post-volo e torno a casa.
L’avvicinamento per il recupero della squadra CNSAS
Sono le 01:00 di notte, entro in camera dei bambini e vedo che dormono, mi metto a letto vicino a mia moglie che ha una mano sul mio cuscino. Chiudo gli occhi, non realizzando ancora se è tutto vero quello che ho vissuto o è stato solo un sogno.
“Aquiletta” del Soccorso Aereo – Tradizionalmente si riceve dopo il primo intervento operativo di soccorso
[Nota dell’Editore]
Desidero ringraziare di cuore il Magg. D’Angelo per aver raccontato il suo primo intervento operativo reale, condividendo i suoi pensieri e le sue emozioni dal punto di vista intimo, in relazione alla propria famiglia. Quelli che ha avuto e sperimentato sono pensieri ed emozioni che hanno vissuto generazioni di uomini e donne del Soccorso Aereo e che – posso garantire – sono il corollario immancabile di questa professione, di questo “privilegio di salvare vite”.
Grazie ancora per avermele fatte rivivere e Mammajut!
L’insegnante di MTU era precisissimo. Almeno tanto quant’era preparato. Ci mostrò ogni virgola e vite dell’HH3F. Le sue interrogazioni erano memorabili. Eravamo giunti al punto di sapere praticamente tutto della macchina che di lì a poco avremmo pilotato, persino il valore dei filtri distribuiti nell’impianto idraulico: cinque micron. Era riuscito a inculcarci l’idea di un capolavoro tecnologico che, a tratti, sembrava sfiorare la delicatezza dei meccanismi di precisione.
Al termine del corso, questa convinzione ci accompagnò nelle nostre nuove destinazioni. Iniziai il tour della mia Base scortato da uno straordinario Sottufficiale, Specialista di qualifica (definizione dell’epoca), ma soprattutto speciale di carattere. Tanto da essere considerato urbi et orbi il nume tutelare dell’84° e anche dell’intero Stormo: l’indimenticabile Dante Stifanelli.
Quando varcai la soglia dell’hangar di manutenzione, i lavori fervevano. Man mano che mi avvicinavo, un rumore particolare diventava sempre più nitido. Un HH troneggiava sulla destra, con tanti tecnici attorno ai suoi pannelli aperti. Quasi abbracciato a uno di essi, uno Specialista risaltava rispetto agli altri. Barba lunga, riccia, occhi di bragia e vocione dalla forte inflessione locale: un personaggio a prima vista. Il rumore si arrestò. Lui mi diede il benvenuto, scambiammo qualche parola e poi riprese a lavorare.
Istantaneamente, lo strano rumore risuonò daccapo. Guardai più attentamente. Restai di sale. Quell’uomo stava impugnando uno strumento impensabile. Perché, dinanzi ai miei occhi ancora imbevuti di cifre e micro regolazioni, un pesante martello di legno sembrava calare sugli steli idraulici a guisa di mannaia. “Ma come? I cinque micron? Che fine hanno fatto?”, mi chiesi incredulo. Ero finito nell’antro di Efesto? No, affatto. Oppure sì, se si considera la bravura del dio greco. Infatti, bastò pochissimo per capire la grande abilità manutentiva di quegli uomini.
Qualche anno dopo iniziarono i miei trasferimenti. Ma rientrai di nuovo a Brindisi, questa volta da Comandante, prima di spostarmi ulteriormente in altre mete lontane.
Da allora ho rivisto Occhi di bragia solo due anni fa. In pochi minuti abbiamo riassunto storie di anni. Compreso il suo inatteso “Lei è stato l’unico a…”. Non si riferiva a un episodio direttamente legato al volo. Ma richiamava una pagina di vita tra uomini che hanno incrociato i loro percorsi sino a stringersi in un abbraccio, con l’identico aroma di sigaro all’anice emanato dalla sua barba, capace di trasportarmi in un attimo al nostro primo incontro. E al ricordo del mio insegnante.
Pochi giorni dopo, il Raduno a Vigna di Valle per celebrare l’esposizione dell’HH 3F nel Museo AM fece vorticare ancor più i pensieri, mentre mi sfilavano dinanzi i volti di una vita. D’altronde, da buon alato rotante, ho continuamente sostenuto che bisogna avere sempre qualcosa che ruoti in testa. Ovviamente facendo il gesto del rotore con l’indice della mano.
Tornato a casa, feci spazio in libreria per riporvi l’ultimo volume Nec In Somno Quies (NISQ), ritirato al raduno. Nascosta tra le varie copertine sullo scaffale, una cartellina blu scivolò a terra con i suoi fogli. Sorprendenti. Perché all’improvviso riapparivano pagine dimenticate lì da anni, che narravano un’avventura di tanto tempo prima. Il protagonista? Ebbene sì, proprio lui, il mio famoso insegnante di MTU, che in realtà era innanzitutto uno tra i più esperti e qualificati Piloti Istruttori.
Quindi, per un’imprevedibile e casuale serie di avvenimenti, nell’arco di una manciata di giorni mi trovai a rivivere fatti e situazioni che coprivano l’inizio e la fine della mia attività di pilota H24 in seno al Quindicesimo, tutti marcati da un comune denominatore: lo stesso Ufficiale.
Come chiamare simili eventi? Coincidenze? E come mai quel racconto tornò alla luce nell’esatto momento in cui stavo sistemando un libro che, manco a farlo apposta, raccoglieva vicende di volo?
Ho subito pensato che quel lontano avvenimento sarebbe immediatamente entrato in un volume NISQ. Era stata un’esperienza fortissima e aveva messo alla prova tutte le capacità del Capo Equipaggio. Il quale avrebbe sicuramente descritto anche tanti altri momenti se l’Amor chetutto move non l’avesse chiamato lì, in alto, nel Paradiso dei Piloti.
Allora, perché ne parlo io adesso? Tutto scaturisce dal rapporto di grande amicizia e stima professionale con questa persona, nato per l’appunto sui banchi dell’MTU e continuato sino all’ancor oggi incredibile atto finale.
Fu quindi assolutamente naturale incontrarci nei giorni immediatamente successivi all’episodio, per ragionare sull’accaduto.
Io avevo lasciato da poco lo Stormo per lo Stato Maggiore, destinato alla Sacrestia (nickname allora del 1° Reparto) e il mio ex insegnante (da ancor meno tempo) aveva lasciato il Comando del Centro Addestramento Equipaggi (CAE).
Era una storia troppo interessante. Decidemmo di assegnarci due ruoli. A lui andò, logicamente, la parte del protagonista. Io assunsi, invece, quella dell’intervistatore, per raccogliere le sue sensazioni e riversarle in un articolo, a sua firma, che non ho mai saputo se sia effettivamente apparso o meno sulla Rivista Sicurezza del Volo. Come non conosco, peraltro, neppure i risultati dell’Inchiesta.
Ma qual è, dunque, il nome di questa straordinaria figura? Eccolo, finalmente. È quello di un altro indimenticabile personaggio: Gino Fischione.
Con lui mossi i primi passi sull’HH-3F. La passione per il volo era l’elemento che ci accomunava e lui riusciva a trasmettere la sua con enorme entusiasmo. Non con le semplici parole, ma con la ricerca tendente alla perfezione della manovra, attraverso la corretta regolazione dei parametri, frutto di attenti studi, e l’armonico sviluppo delle traiettorie in rapporto allo spazio.
Abbiamo volato tante volte insieme sull’H3, ma anche su altre macchine e in Stormi diversi. Finanche all’aeroclub. In ogni missione siamo andati alla ricerca della soglia più avanzata possibile per la specifica attività. Grande pianificazione iniziale e poi in volo. In campo e fuori campo. Sull’impegnativa vetta del Gran Sasso (un suo must) o al largo sul mare. A bassissima quota o in strumentale. Con i visori notturni o nell’applicazione delle tattiche evasive. Nello studio delle manovre di presentazione per gli Air Show o nell’atterraggio in aree ristrette, dove bisognava incunearsi tra le montagne con traiettorie serpeggianti per intercettare l’unico sentiero idoneo a centrare spazi poco più larghi del rotore. Sino alle tante (oggi impensabili) simulazioni di emergenze combinate, in ogni condizione, con un dosaggio attentissimo dei comandi e le lancette degli strumenti che rasentavano i limiti.
Una concentrazione totale che imponeva il ricorso a tutte le proprie capacità, per sentirsi in piena sintonia con il mezzo. Ma sempre nel massimo rispetto della sicurezza e con la convinzione, quando tornavi a terra, di aver provato e imparato ogni volta qualcosa in più, per essere pronto a operare al meglio nelle situazioni reali. Avevamo stabilito quel feeling così raro che, quando accade, ti dà il senso di una vera ricchezza.
Era una tale sintonia di pensieri che, nell’ascoltare la descrizione della sua emergenza, piena di congetture, percezioni ed emozioni a ogni parola, mi sembrò di rivivere quell’avventura assieme a lui nel cockpit.
Dal nostro incontro scaturì la storia illustrata poche righe più sotto. E con essa la risposta alla precedente domanda del perché sia io a parlarne ora.
Il motivo è il desiderio di rendere omaggio a una Figura di rilievo attraverso uno scritto che, accanto alla mia, avrà anche la firma di Gino (con la speranza che me lo conceda da lassù), per tutto ciò che ha vissuto, dimostrando di saper gestire un’evenienza altamente critica, grazie al suo instancabile desiderio di entrare in contatto con la macchina e sentirla propria in ogni condizione. Anche la più problematica. Anche quando un secondo sembra durare un secolo.
Quest’enorme dilatazione del tempo emerge dal racconto riportato di seguito, dove Gino parla in prima persona.
«Ero davvero felice di andare in volo. Avevo lasciato il comando del CAE da pochi giorni e i preparativi per il cambio mi avevano tenuto più lontano del solito dal mio impegno quotidiano: volare, per l’appunto. Per questo motivo, ero completamente preso dalla pianificazione.
Chino sulla carta di navigazione, assaporavo appieno la sottile eccitazione che prelude a ogni decollo. Volevo immergermi nel blu. E poi, avevo un motivo in più per essere allegro: i miei passeggeri.
Avrei mostrato il “mio” HH3F a una squadra del Centro Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS), gli alpinisti aerosoccorritori che usavano in prevalenza l’AB212 e nemmeno immaginavano le capacità di questo magnifico vettore. Con tali pensieri in testa, staccai finalmente le ruote da terra per una missione di rinnovo carta strumentale.
A bordo eravamo in tredici: io, istruttore, con trent’anni e più di Aeronautica, innamorato perso del volo; il giovane allievo, determinato a fare una bella missione e con qualche perlina di sudore tra una radiale e l’altra; l’equipaggio, sornione in postazione; dietro, gli amici alpinisti, curiosi indagatori del nuovo elicottero.
L’aria, fuori, era calma e tersa, senza la minima turbolenza. Qualche migliaio di piedi più sotto si stendeva la placida immensità del mare.
Trasparenze rosa e azzurre all’esterno, clima cordiale e amichevole in cabina: cosa ti aspetti in una situazione del genere? Di livellare tra 500 piedi, proseguire verso Ponza e…certamente non di sentirsi in una frazione di secondo come cubetti di ghiaccio nello shaker!
La quiete idilliaca era sparita di botto. Ciò che vedevo all’esterno era inspiegabile. Non avevo più una sola traccia del discorotore a segnare la mia posizione rispetto all’orizzonte, ma ben due. Circa mezzo metro più sotto rispetto alla normale linea, infatti, se n’era formata una seconda. Ragion per cui, a ogni giro delle pale (avete idea di quanti giri al secondo compia il rotore di un elicottero?), tutte le persone a bordo, me compreso, erano forsennatamente sbattute prima in aria, poi in basso e in ogni direzione. Sembravamo palline da ping-pong in un match serratissimo.
Le mani stringevano i comandi, la mente andava a mille. Cercavo soluzioni, ma non capivo nulla. Le indicazioni che avevo non erano contemplate in nessuna procedura. Non sapevo cosa fare. Quell’emergenza non era prevista. Non poteva esistere.
L’unico dato di fatto era che l’elicottero sembrava ingovernabile. Aiuti? Zero assoluto. Tranne la voce del mio istinto. Volevo tentare qualcosa di simile a un’autorotazione, ma era impossibile abbassare completamente la leva del collettivo. Intuivo, però, che l’unica alternativa praticabile doveva per forza limitarsi a una lieve pressione verso il basso.
Intanto continuavamo a essere shakerati ma, nonostante la vigile attenzione (la parola paura non suona bene), la mente era lucida. Perciò riuscii a realizzare che quella manovra consentiva di stabilizzare almeno in parte le vibrazioni. Erano sempre violente, per usare un eufemismo, ma l’elicottero dava segni di risposta ai miei input.
Decisi di iniziare la discesa, sperando che fosse controllabile e non mi costringesse a seguire la legge del caddi come corpo morto cade di dantesca memoria. Flutter, risonanza, distacco del rotore: i miei pensieri erano ipotesi molto, molto probabili in quel frangente.
Fu un momento decisamente particolare che mi si è fissato in testa, soprattutto perché sentii crearsi a bordo un’unica coscienza. Non eravamo più i singoli membri di un equipaggio, ma una sola mente che tentava di trovare spiegazioni, comportamenti, soluzioni. Non c’era spazio per l’artiglio della paura. Pensavamo unicamente a cosa fosse accaduto e a come risolvere il problema. All’unisono.
Nonostante gli sforzi, però, il nostro CRM non produceva nulla di concreto. Avevamo chiuso il piano di volo IFR e ci trovavamo in un’interminabile discesa a vista verso la costa, una riga a poche miglia dai nostri occhi, ma a un’infinità dai nostri cuori.
Sballottati ovunque, eravamo in contatto con un PD 808 che aveva raccolto il nostro segnale d’emergenza e ci seguiva a distanza ravvicinata, imitato più tardi anche da un SF 260 che si aggiunse ai testimoni della nostra piccola (?) odissea.
Erano trascorsi otto lunghissimi, spasmodici minuti. La terra era lì, a sole due miglia, ma ogni tentativo di raggiungerla era vano. La rabbiosa reazione dell’elicottero amplificava incontrollabilmente i sobbalzi.
Non c’era più nulla da fare. Ero costretto ad ammarare. La prospettiva non mi piaceva affatto, ma la calma piatta del mare in qualche modo mi rassicurava. E quindi giù, muso a cabrare, velocità in diminuzione e, infine, ballando, ballando ancora un minuto, il tanto atteso contatto con l’acqua.
I grandi spruzzi del deciso splash ci annunciarono che eravamo finalmente in salvo.
La speranza era stata tanta, ma ci convincemmo di aver fatto bene a sperare solo quando riuscimmo a spegnere i motori e ad arrestare il rotore. Ora, fermi in mezzo al mare, potevamo assistere allo spettacolo di una pala che penzolava decisamente inclinata sulla nostra testa, trasposizione reale di una spada di Damocle ormai neutralizzata.
Il tempo di arrampicarsi sulla fusoliera e l’arcano sparì. Una pala del rotore era fuoriuscita dalla sede. Si era sboccolata. Un brutto termine che racchiudeva effetti ancor più brutti. Ma nel frattempo, i Nostri erano partiti ed erano già arrivati in zona.
Così, seduti in cabina, a mollo nel Tirreno, avemmo modo di vivere un’altra emozione. La stessa che prova una persona in pericolo quando sente sopra di sé il possente e inconfondibile rombo dell’HH3F.
In quel momento, ormai, per noi non c’era altro che qualche abbondante litro d’acqua di mare a bordo. Ma vedere l’H3 che recuperava la squadra del CNSAS nel rosseggiare del tramonto, fu uno spettacolo avvincente. E dire che la giornata non era stata certo avara di emozioni.
Sani e salvi, i nostri amici s’involarono verso la Base. Ma non l’equipaggio. Nessuno si sentì di abbandonare l’elicottero e i propri compagni. Neppure quando la vedetta della Capitaneria di Porto, giunta nel frattempo, iniziò a trainare il mezzo in panne sino al porto di Anzio.
Tutti insieme controllavamo con il GPS che la velocità non superasse i prescritti tre nodi. In realtà, inseguivamo i nostri pensieri a una velocità di gran lunga maggiore.
Infine, anche la nostra navigazione marittima terminò e, dopo lunghissime ore, riuscimmo a rimettere piede sulla terraferma.
Che bella sensazione sarebbe stata se non avessi sentito un discreto tremore attanagliarmi prima lo stomaco, poi il braccio, i muscoli e, infine, il corpo intero. “Adesso mi prenderà anche alla gola e non riuscirò neanche a parlare. Che figuraccia!”, pensavo.
Ma non accadde, né con il Comandante della Capitaneria, né con il cameriere del ristorante dove arginammo i morsi della fame (ma erano realmente della fame?). Non avvenne nemmeno quando vidi sulla porta mia moglie e mia figlia che, con il loro abbraccio, conclusero quell’incredibile avventura e placarono ogni tremore.
In mente mi tornavano soltanto le parole di un vecchio, caro Maresciallo pilota: “E anche questa volta abbiamo riportato lo scheletro a casa”.
Erano le 2:30 della notte. Il giorno prima era stato il 13 dicembre, Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia. Ma c’è sempre un’eccezione che conferma la regola, non è vero?».
Giorgio F. Russo e Gino Fischione
(P.S.)
Nonostante avessi messo su carta queste parole già un paio d’anni addietro, non le avevo ancora inoltrate all’Associazione Gente del 15°. Perché? Mistero per me stesso. Ma ora il galoppante incedere del tempo ha fatto scoccare una data particolare. Dieci anni da quell’ultimo volo sulla Terra di Gino Fischione: il suo decollo verso l’Empireo, il cielo più alto. Accanto a lui un altro amico, Paolo Caruso. Una Santa Messa in loro suffragio è stata celebrata il 20 ottobre 2025, nel Pantheon di Roma.
Mentre pensavo a cosa scrivere, ho distolto lo sguardo dalla tastiera. Sembrava che il piccolo casco-fermacarte dinanzi a me fosse diverso dal solito. Me lo diede proprio Paolo. Ora, invece, mi trovo a rivolgere le mie preghiere all’Altissimo per lui. Le stesse che innalzo all’Onnipotente per Gino. Ma stavolta penso che sia davvero giunto il momento di accompagnarle anche con questo suo ricordo a quattro mani, per noi uniti in fratellanza dal rombo del rotore.
Ad memoriam
Foto 1: da sinistra, Giorgio Russo, Gino Fischione e Leonardo (Leo) Lella, pilota civile, giornalista e appassionato di Aeronautica, soprattutto del 15°. Con Leo ho stretto i rapporti all’indomani dell’incidente di Gino. Lo ricordavamo sempre. Ma, da pochi giorni, pure Leo ha improvvisamente raggiunto Gino. Anche per lui levo in Alto le mie preghiere.Foto 2: Palazzo Aeronautica – Disegno murale di Marcello Dudovich
Lunedì pomeriggio, 20 Ottobre, nella cappella all’interno del Pantheon a Roma, si è tenuta una messa in suffragio in coincidenza del decennale della scomparsa degli amici Gino Fischione e Paolo Caruso, che persero la vita in un tragico incidente aereo in località Campomorto, fra i Comuni di Lanuvio ed Aprilia, al confine delle province di Roma e Latina, mentre effettuavano un volo di prova di un elicottero ultraleggero R22 di una società di Aprilia.
Ad organizzare la funzione è stata la nipote di Paolo Caruso, che oltre ad essere stato un pilota dell’Aeronautica, era una “Guardia d’Onore” al Pantheon.
Non potevano mancare gli Amici, che in rappresentanza di tutta la Gente del Quindicesimo, li hanno voluti ricordare. Alla fine della messa è stata letta e ne ho avuto l’onore, la preghiera dell’Aviatore.
Il Mammajut, per rispetto del luogo in cui ci trovavamo non è stato possibile “urlarlo”, ma in cuor nostro e a bassa voce glielo abbiamo dedicato: “Mammajut Gino… Mammajut Paolo…”
La cappela del PantheonUn momento della funzione religiosaLo stendardo delle Guardie d’OnoreLa lettura della preghiera dell’Aviatore
Lo scorso lunedì a Creola di Saccolongo (PD) è stato reso omaggio alle vittime dell’incidente aereo del 20 ottobre 1977 che ha causato la morte di cinque militari del 15° Stormo che erano a bordo di un elicottero Augusta Bell 204B.
Sono passati 48 anni dall’evento e desidero ricordare al lettore cosa successe.
L’AB-204 ebbe una emergenza grave che non permetteva di proseguire il volo: era necessario un atterraggio d’emergenza immediato. Ma la sorte non fu benevola e sulla traiettoria di discesa c’era una scuola materna e la canonica. L’equipaggio, con perizia e profondo senso del dovere, valutato l’imminente pericolo che sarebbe da lì occorso, riuscì – con l’energia residua – ad evitare abilmente il campanile della chiesa parrocchiale e la scuola, impattando rovinosamente al suolo in un campo coltivato.
Il Tenente Pilota Michele Grande, il Maresciallo Benito Stasi, il Sergente Francesco Santoruvo, il Sergente Sommozzatore Salvatore Pinto (del 3° Distaccamento SAR di Grottaglie) e il Maresciallo Infermiere Alfredo Miccoli (della Scuola Centrale Istruttori Volo – SCIV) persero la loro vita ma salvarono quella delle persone, dei bambini, che ignari stavano vivendo la loro.
La funzione religiosa è stata officiata da Don Emilio Moro, alla presenza del Sindaco di Saccolongo Signor Steve Garbin, del Presidente dell’Associazione Arma Aeronautica, Sezione di Padova, il Colonnello Aldo Palmitesta, del Comandante l’84 Centro SAR, Tenente Colonnello Ivano Sorrentino, di personale militare, di rappresentanze delle Associazioni combattentistiche e d’Arma, e autorità civili del luogo.
La cerimonia, sempre sentita e intensa, si è conclusa con il ricordo dei nostri colleghi Caduti che con l’estremo sacrificio impedirono il coinvolgimento di civili innocenti.
A loro il rinnovo di eterni cieli blu e il nostro Mammajut!
La messa di suffragioIl memoriale all’ingresso
La lapide al cimitero
Lo schieramento del personaleGli onori militari dopo la deposizione della corona d’alloro
Lo avevamo promesso il 23 novembre 2024, quando si è svolto a Ciampino il 1° Raduno del 46° Centro Protezione Civile, in occasione del quarantennale della sua costituzione: ci dobbiamo rivedere almeno una volta l’anno! – ci dicemmo.
E così, mercoledì 15 ottobre 2025, ci siamo rincontrati per il 2° Raduno 46° Centro Protezione Civile, in una delle località più significative della storia del Reparto: il lago di Bracciano.
È qui che tutti noi avemmo il primo approccio con gli ammaraggi, i primi scoop, i primi sganci.
È qui che versammo litri di sudore.
Siamo un po’ meno dello scorso anno: gli anni avanzano, siamo tutti pensionati e gli effetti degli acciacchi hanno impedito a qualcuno di raggiungerci.
Eppure ci siamo.
Sembra che ci siamo salutati l’altro ieri e non quasi un anno fa.
Strette di mano calorose, sorrisi, sullo sfondo di un meraviglioso lago “piatto” come non lo era mai stato “ai nostri tempi”, e un Canadair CL-415 dei Vigili del Fuoco che si addestra… come noi 41 anni fa sul CL-215.
Il tempo scorre veloce seduti a tavola, fra un piatto e un altro, fra un bicchiere di vino e un altro fra racconti e memorie.
Memorie e racconti “nuovi” che non ci eravamo detti un anno fa e che fanno intendere quanto intensa sia stata la nostra vita in quei “brevi” 4 anni ormai relegati alle “Memorie Storiche del 15° Stormo”.
Si ricordano anche i nostri amici che non ci sono più: Carlo, Italo, Eros, Rosario, Giampaolo, Sergio, Lucio, Paolo, Pietro, Gianfranco, e l’ultimo volato via, Firminio.
La promessa e la speranza di rivedersi tutti quanti il prossimo anno (o anche prima) è rinnovata: siamo tutti aviatori a riposo ed ormai la nostra “parabola” da un pezzo ha superato l’apice.
Ho anche il piacere di rincontrare l’istruttore del mio “pre solo”, di quando da Allievo del Primo Corso iniziai a mettere le ali a Latina, che non vedevo dal lontano 1979 e che si è unito a noi: ha finito la sua carriera da pilota volando con i Canadair in Turchia.
Oggi è lui la mia “ciliegina sulla torta” di una magnifico pomeriggio di ottobre.
Nevio Lorenzoni era un “omone tutto d’un pezzo” alto, robusto e con una barbetta brizzolata che lo faceva somigliare a “Capitan Findus”, soprattutto quando fumava la pipa.
Ufficiale di Complemento, pur non brillando nella “forma militare”, aveva molta, molta sostanza come “pilota” e, complice anche il carattere affabile e gioviale, nonostante l’aspetto burbero, si faceva ben volere da tutti: raramente infatti indossava gli scarponi da volo “dell’Amministrazione” adducendo le seguenti scuse:
“Sti scarponi so’ no schifo: dopo du vorte che l’ho messe se so’ aperte”,
oppure
“Ar magazzino nun ce stà ‘r numero mio”
… e quindi indossava delle polacchine marroni fuori ordinanza, che ormai anche i superiori tolleravano, perché “so’ anche più comode” – diceva.
Pur essendo il Comandante della 615ª Squadriglia Collegamenti, gli piaceva volare solo con l’elicottero AB-212, evitando il SIAI 208 ed il P166.
Un giorno gli chiesi: “Nevio, perché non voli mai con il SIAI 208?”
Mi rispose: “Quer coso nun me piace. C’ha’r rotore troppo piccolo: nun fa l’autorotazione”.
Un’altra volta gli chiesi:
“Nevio, ma tu l’abilitazione sull’HH-3F l’hai fatta?”
Mi rispose:
“Ma che so’ scemo? Seee…e poi così me tocca fà pure gli allarmi! Io la sera vojo sta’ a casa mia sul mare a Terracina!”
In effetti, Nevio aveva una bella casa affacciata sulla spiaggia di Fondi, molto vicina a Terracina e, per questo, il suo pendolarismo non gli pesava molto.
Raramente dormiva in aeroporto, ossia solo quando era di servizio come Ufficiale d’Ispezione.
Ma, nonostante le apparenze e le espressioni da “ma chemmenefregammè” era uno di quelli sempre presente e disponibile:
“C’è da portare un pacco a Brindisi: chiamate Lorenzoni”;
“C’è da prendere dei documenti a Rimini: chiamate Lorenzoni”;
“C’è da fare il cambio equipaggio del Canadair a Pisa: chiamate Lorenzoni”;
“C’è da prendere il Capo di SMA da palazzo e portarlo a Viterbo: chiamate Lorenzoni”.
Ed in effetti, lui era sempre disponibile e presente pur di “dormire nel letto mio ogni sera”.
Con i primi piloti del 46° CPC (Centro Protezione Civile) si era instaurato un rapporto di reciproca simpatia anche perché durante il corso di abilitazione sulla macchina con gli istruttori canadesi i non ancora assegnati al 15° Stormo futuri piloti di Canadair erano stati ospitati nei locali della 615ª Squadriglia.
Come ogni Stormo che si comanda, i piloti “operativi” dell’85° Gruppo SAR poco sapevano su cosa effettivamente facessero “quelli della Collegamenti”: relegati in un “ufficetto” nel luogo meno visibile dell’hangar “Comando” e senza una insegna che ne evidenziasse la posizione, si accorgevano della loro esistenza solo quelle rare volte in cui gli HH-3F erano inefficienti e toccava a loro “montare d’allarme” con il 212. Altrimenti, sembrava che la 615ª fosse né più né meno un piccolo aeroclub privato a disposizione del Comandante di Stormo finalizzato solo a “far mantenere il brevetto di ala fissa” ai soliti quattro privilegiati e “andare a scazzafottere” con il S208 ed il P166.
Ma non era così.
In Aeronautica infatti, ad ognuno in cuor suo, piaceva sempre credere di sentirsi “superiore all’altro” in funzione dell’aeromobile su quale volava: i “Centoquattristi” ai “Ginovantunisti”, i Ginovantunisti a “Quelli dei Trasporti”, Quelli dei Trasporti (al loro interno a loro volta i Ci-Centotrentaisti superiori ai Gi-Duecendoventiduisti) agli “Antisommisti” e questi ultimi superiori agli “Elicotterari”.
I piloti istruttori alle Scuole di Volo erano fuori gioco perché “mica sono operativi”.
Dei piloti del 303° Gruppo di Guidonia e del Volo a Vela a mala pena se ne conosceva l’esistenza, figuriamoci quelli delle Squadriglie Collegamento!
Ed Il 31° Stormo??? Una chimera per super-raccomandati.
E così, i piloti “operativi” SAR sul mastodontico HH-3F, guardavano dall’alto in basso “i colleghi della Collegamenti” pur se ogni tanto “svolazzavano” con il SIAI 208 portandosi come passeggero un loro specialista.
Insomma Nevio era diventato un “amicone” per noi del 46 °CPC.
Un giorno di tarda primavera, era previsto un volo addestrativo con il “Cielle” proprio nella zona di Fondi.
Lorenzoni lo seppe e commise l’errore più grande della sua vita, cioè quello di chiedere al suo più grande “amicone” pilota di Canadair: “Se domani venite a Fondi, perché non passate davanti casa mia così ve faccio du foto? Magari potreste fà quarche sgancio! Fatemi un corpo de telefono prima di decollà, così me organizzo c’aa macchina fotografica sur terrazzo”
“Perché no?” – rispose il suo “amicone”, Capo Equipaggio di Canadair.
Il giorno dopo, in sede di briefing prevolo il CE (anche lui romanaccio DOC) illustrò la missione: “Bene. Dopo ’r decollo ci dirigiamo verso Cisterna di Latina, poi Borgo Piave, Terracina e Fondi. Lì vediamo com’è ‘r mare, altrimenti facciamo degli scoop sul lago di Fondi. Poi …c’è Lorenzoni che ce vuole fa’ delle fotografie: tu sai ndò abita?”
“Certo Comandante” – gli rispose il Copilota, un giovane Tenente da pochissimo qualificato sulla macchina – “Conosco casa sua perché una volta ho volato con lui da passeggero sull’AB212 e ci siamo passati sopra. Dovrei ricordarmelo.”
Dopo una mezzoretta di volo avevamo già lasciato Terracina in direzione Fondi: il mare non prometteva bene.
“Nnamo ar lago daje” – disse il Comandante – “e poi nnamo a trovà Lorenzoni”.
E così, dopo 4 o 5 scoop, decidemmo di andare a trovare Lorenzoni.
Ultimo sgancio sul lago in direzione sud, viratona a sinistra puntando il mare e già ancora prima di arrivare sulla costa intravedemmo la sua casa: “Eccola – dissi puntando il dito – è quella là!”
Mentre la sorvolavamo effettuando una vitata di 360°, intravidi Nevio che si affacciava sul terrazzo per poi rientrare a casa: poco dopo ne riusciva con la macchina fotografica sul treppiedi.
Iniziammo quindi lo show “fotografico”.
Ritornammo a caricare l’acqua sul lago, poi viratona larga a sinistra verso il mare per preparare il tratto “base” di quel circuito che ci avrebbe portato a sganciarla in mare davanti alla casa.
“TA-BOOM”: il rumore dei portelloni di scarico testimoniava il primo sgancio effettuato in direzione nord-sud.
Ci dirigemmo al lago per un secondo “scoop”.
Questa volta ci ripresentammo in finale in direzione opposta, sud-nord.
“TA-BOOM”: anche il secondo sgancio era stato fatto.
“Adesso je famo fare una foto dar davanti?” – mi disse il Comandante, aggiungendo:
“Che ne dici: jo famo??” (jo famo = glielo facciamo) guardandomi con un sorriso “diabolico”.
Non aspettò la mia risposta perché aveva già deciso.
Ci dirigemmo per l’ultima volta sul lago.
Facemmo un cortissimo scoop, il tempo di vedere gli indicatori di livello di carico appena alzarsi neanche “alla prima tacca”, dopodiché, facemmo un viratone largo a sinistra per entrare in quel tratto finale del circuito in cui il “target” era la casa di Nevio, o meglio, il suo terrazzo.
Dalla mia posizione, seduto a destra, mentre eravamo in sottovento riuscii a vedere Nevio, già in posizione di scatto, attraversarmi la visuale per tutto il finestrino di sinistra: vedevo contemporaneamente sia lui (già pronto dietro al suo treppiede) che il Capo Equipaggio, tutto concentrato e… diabolicamente sorridente!
Quel sottovento fu particolarmente lungo e lento, per consentire al buon Lorenzoni di preparare al meglio le inquadrature per gli scatti.
“TA-BOOM”: l’ultima immagine che ricordo nell’istante dello sgancio è quella di Lorenzoni che, poco prima di essere nascosto alla mia vista dal muso del Canadair, scappava allontanandosi dal treppiedi.
“Che dici – disse il Comandante – l’hamo preso?”
Quando atterrammo a Ciampino, il Comandante ricevette subito una telefonata da Lorenzoni: non ho mai saputo quale fu la sua reazione a caldo e cosa si siano detti.
Ma qualche giorno dopo, quando lo incontrai, gli chiesi: “Nevio, come sono venute le foto?”.
Lui rispose sorridendo: “A li mortacci vostra! Se v’acchiappa mi moglie ve sderena. E meno male che avevamo torto i tappeti! L’acqua è rimbalzata sur terrazzo, è entrata ner soggiorno, ha attraversato a cucina ed è uscita dar balcone dall’artro lato della casa. Comunque le foto sò venute bene… tranne l’ultima… a li mortacci vostra!”.
Nel 2019, il nostro Nevio ci ha lasciato per sempre: da allora non ritorna più la sera a dormire nel suo letto della bella casa di Terracina.
Ma io lo ricorderò sempre cosi, come “un amicone” sorridente (anche dopo il mega gavettone), un omone tutto d’un pezzo alto, robusto e con una barbetta che lo faceva somigliare a “Capitan Findus”, soprattutto quando fumava la pipa.
Nota dell’Editore
Devo ringraziare Antonello per aver condiviso un suo bellissimo ricordo di un collega che ha fatto parte e contribuito a costruire la storia del 15° Stormo.
Leggendo ho rivissuto una lontana Aeronautica Militare, quella di ancora prima che entrassi in Accademia, fatta di tanta volontà e capacità delle persone, dove l’orario di servizio, gli straordinari, non esistevano e, è vero, la componente ad ala rotante era poco considerata. Da allora, però, tanto è stato fatto ed è cambiato, soprattutto con l’introduzione della capacità Combat S.A.R. e l’impiego fuori aerea. Un’evoluzione che ha interessato tutta l’Arma Azzurra (e la società) e che oggi ci fa guardare a quel passato come ad un’epoca quasi pionieristica (e in fondo lo è stata). Oggi certe cose ci appaiono aliene, impensabili, perché la nostra mentalità è profondamente diversa e se abbiamo perso un po’ di quel senso di “famiglia” che si viveva allora, è altrettanto vero che le capacità esprimibili dal personale e dai sistemi d’arma sono molto superiori.
Dopo aver pubblicato il commovente articolo che ha scritto Antonello Albanese sulle esequie dei colleghi Simone e Lorenzo, volati via da questa terra lo scorso 1° ottobre, mi fa davvero piacere potervi raccontare di una nostra collega, una “eroina” generosa che si è messa a disposizione per salvare delle vite.
Il suo nome è Mariateresa Campobasso, è in servizio all’82° Centro SAR di Trapani, e non ha un mantello e nemmeno i superpoteri come gli eroi dei fumetti, però con un semplice ma straordinario gesto, ha dato una possibilità di vita a chi ne ha disperato bisogno, ancorché dall’altra parte del mondo, perché affetto da leucemia.
Mariateresa ha scelto di fare la donazione delle proprie cellule staminali.
Donare significa dare una parte di sé e non si tratta solo di tessuti, ma anche di tempo, energie, speranza, senza chiedere nulla in cambio.
Significa credere nella salvaguardia della vita e nel valore profondo della solidarietà.
Mariateresa lo ha fatto con il cuore, con umiltà (se non fosse stato per il suo Comandante – che ringrazio – non lo avrei saputo), con coraggio e con la speranza che ben presto quella persona con la quale è compatibile, grazie a lei e all’Associazione Donatori Midollo Osseo (https://admo.it/), potrà tornare a sorridere.
Un esemplare gesto di vita in grado di dare speranza a tutti.
MAMMAJUT A TE MARIATERESA!
Mariateresa ed una operatrice dell’ADMO (Foto di ADMO Palermo)
E’ qui che l’Aeronautica Militare ha allevato per decenni dei “pinguini”, ai quali piano piano sono cresciute prima le piume e poi le penne.
Ed oggi, dopo 46 anni dalla mia “nascita”, mi ritrovo dinanzi all’hangar del 207° Gruppo Volo del 70° Stormo di Latina, quello che ai miei tempi era la SVBIE, Scuola Volo Basico Iniziale ad Elica.
Alle mie spalle c’è la linea volo del T260-B, ridenominato e aggiornato dal precedente SF-260 e ricolorato da arancione a grigio.
Tutto il resto sembra identico a 46 anni fa: la Torre di Controllo, il CDA, la Cappella Aeroportuale, gli alloggi, il Circolo e la strada malconcia vicino ai campi da tennis.
E’ una meravigliosa mattinata di Ottobre: nel cielo azzurro non si intravede neanche una nuvola, il sole “picchia” piacevolmente ed una fresca brezza marina mi accarezza il viso.
Ma oggi è un giorno particolare.
I portali dell’hangar sono aperti.
Al suo interno un grande paracadute bianco, spiegato, è appeso al soffitto: al di sotto è stato allestito un altare.
All’esterno dell’hangar sono già schierati il picchetto della Guardia d’onore e la Banda dell’Aeronautica, circondati da un mare di persone, in uniforme e in borghese, donne e uomini, più o meno giovani.
Nessuno parla.
Tutti aspettano l’arrivo del corteo funebre dalla camera ardente che da ieri è stata predisposta presso la Cappella Aeroportuale.
Pochi giorni fa è accaduto un gravissimo incidente aereo, nel corso del quale sono deceduti il Comandante di Stormo ed il suo giovane allievo, alla undicesima missione.
Il più anziano ed il più giovane, il più esperto ed il meno esperto, il primo con le “penne” l’altro ancora con le piume.
Il passato, il presente ed il futuro dell’Aeronautica Militare.
Fra i presenti ci sono dei giovani allievi, colleghi di corso e di quello precedente.
Non posso non ritornare indietro nel tempo quando, nel 1980, un allievo del corso successivo al mio ed il suo istruttore persero la vita in un similare incidente.
Mi rivedo negli occhi di quei ragazzini schierati, con la divisa ancora priva di aquile, distintivi e nastrini vari: solo il numero distintivo della classe, 1 o 2, cucito sui baveri, le stellette ed i bottoni “ad elle” sulle maniche della giacca.
Stessa uniforme, stessi sogni, stesse ansie, stesse preoccupazioni, stesse incertezze e timori, come i miei 46 anni fa.
Arrivano i feretri fra 2 ali di folla.
Non avrei voluto più vedere delle bare ricoperte dal tricolore, ma oggi non potevo mancare: i due caduti, sebbene sconosciuti, sono per me allo stesso tempo amici, fratelli, figli: in loro si riflette gran parte della mia stessa vita.
La cerimonia volge al termine.
E’ l’ora della Preghiera dell’Aviatore e del “Silenzio” intonato dal trombettiere.
I feretri escono dall’hangar portati a spalla da amici e colleghi degli scomparsi visibilmente commossi.
C’è un “silenzio assordante”, rotto da qualche singhiozzo.
E’ in quel momento che il buon Peppe, affianco a me, mi dice: “Guarda lì! Sembra un segnale”.
Una piccola piuma ed una penna “svolazzano” dondolando sospinte dalla brezza, fino ad appoggiarsi per terra.
Poi, un ulteriore alito di vento le fa “ridecollare” per farle sparire alla nostra vista.
Qualcuno non crede ai “segnali”.
Io si.
La Cappella aeroportuale del 70° Stormo, sede della camera ardenteGli Allievi del Primo Corso portano il feretro di LorenzoIl feretro del Generale di Brigata Aerea Simone Mettini (foto Aeronautica Militare)Il feretro dell’Allievo Ufficiale pilota Lorenzo Nucheli (foto Aeronautica Militare)
(In memoria del Colonnello Simone Mettini e dell’Allievo Ufficiale pilota Lorenzo Nucheli)
Il 1° ottobre 1965 veniva ricostituito il 15° Stormo con la denominazione S.A.R., Search And Rescue (Ricerca e Soccorso). Sono trascorsi 60 anni da allora e, in accordo con il Comando del 15° Stormo, abbiamo deciso di istituire contestualmente alla ricorrenza, una Giornata della memoria del Soccorso Aereo, da dedicare a tutti coloro che hanno avuto il “privilegio di salvare vite” e che hanno chiuso le loro ali terrene per volare nel blu del cielo eterno. Questa ricorrenza nasce con l’intento di onorare e ricordare coloro che, con la loro vita e con il loro esempio, hanno contribuito a tenere alto il nome del nostro Stormo e a rafforzare i valori che ci uniscono come comunità.
Una giornata che, altresì, è l’occasione per farli rivivere nei ricordi di chi li ha conosciuti, di farli conoscere a chi oggi è in servizio, nel pieno spirito di fraternità che ci contraddistingue da sempre.
Così, a cura delle singole Sezioni dell’Associazione Gente del Quindicesimo, presso le rispettive sedi, lo scorso 1° ottobre si sono svolte significative cerimonie in occasione della prima Giornata della memoria del Soccorso Aereo.
15° Stormo – Cervia (di Ernesto Camillo Ganapini, Presidente di Sezione)
Presso l’Aeroporto di Pisignano, per celebrare la prima “Giornata della memoria per i caduti del 15°Stormo e dell’AG15” è stata organizzata la deposizione di una corona e della sua benedizione. Inizialmente prevista in concomitanza della cerimonia dell’alzabandiera, a causa di avverse condizioni metereologiche, è stata spostata presso la Chiesa della zona logistica di Cesena. A seguito della deposizione della corona il Cappellano Militare Don Marco Galanti ha proceduto alla benedizione e ricordato a tutti l’importanza della memoria sia come occasione di riflessione interiore che come motivazione per guardare avanti nell’esempio di chi ci ha preceduto. Successivamente alla lettura della Preghiera dell’Aviatore, quale Presidente di Sezione, ho avuto modo di parlare a nome dell’Associazione ringraziando i presenti e illustrando le attività dell’AG15. Ha concluso l’evento il Comandante di Stormo, il Colonnello Antonio Viola, che ha sottolineato l’importanza della conoscenza della storia di chi ci ha preceduto per comprendere pienamente la nostra realtà attuale e l’importanza del nostro lavoro e dei nostri sacrifici quotidiani.
Il Presidente ed il Segretario della Sezione di Cervia portano la coronail Cappellano Militare Don Marco Galanti benedice la coronaIl Comandante di Stormo e il personale riuniti in preghiera
82° Centro SAR – Trapani (di Nicolò Nicolosi, Comandante 82°)
Presso la chiesa del 37° Stormo, innanzi al Cappellano Militare Don Giuseppe Laganà e alla presenza del Comandante il 37° Stormo, Colonnello Daniele Mastroberti, del Segretario dell’AG15° Sezione di Trapani Antonio Origlio, nonché di una rappresentanza dell’82°, si è tenuta la funzione religiosa in memoria dei cari colleghi che, con il loro più alto sacrificio, hanno contribuito a tenere alto il nome del 15° Stormo e dell’Aeronautica Militare tutta.
Al termine della messa, presso il monumento ai Caduti del 15° Stormo posto di fronte l’area Comando dell’82° Centro, si è altresì reso omaggio ai nostri Angeli con la deposizione di un omaggio floreale.
Purtroppo l’evento è tragicamente coinciso con il grave incidente accaduto questa mattina a Latina che ha visto la scomparsa di altri 2 colleghi. Alle loro famiglie rivolgiamo il nostro più sentito cordoglio.
La Cappella aeroportuale di Trapani-BirgiLa lettura della Preghiera dell’AviatoreIl Comandante del 37° Stormo, il Comandante 82° assieme al Cappellano Militare e al personale dell’82° a fine cerimoniaIl Comandante 82° e il Segretario della Sezione AG15 di Trapani, depongono un omaggio floreale al memoriale ai cadutiIl Cappellano Militare Don Giuseppe Laganà impartisce la benedizioneFoto di gruppo a fine cerimonia
85° Centro SAR – Pratica di Mare (a cura di Eugenio Rovazzani, 2° Vice Presidente AG15)
Alla prima Giornata della memoria del Soccorso Aereo hanno preso parte numerosi soci, ospiti e familiari, a testimonianza del forte legame che l’Associazione mantiene con la memoria, le tradizioni e i valori che la ricorrenza richiama.
L’evento è stato presieduto da me, in qualità di 2° Vicepresidente AG15, in rappresentanza del sia Presidente AG15 che del Presidente della Sezione di Pratica, entrambi impossibilitati a partecipare. Alla cerimonia era presente il Presidente Onorario e alcuni Presidenti Emeriti dell’Associazione. Nel pronunciare un breve discorso, ho voluto sottolineare l’importanza di custodire e tramandare la memoria storica condivisa e i sentimenti di cordoglio per i nostri caduti.
Un momento particolarmente toccante è stato offerto dalla lettura della Preghiera dell’Aviatore, recitata da una giovane Ufficiale dell’85° Centro, che ha preceduto un minuto di silenzio e raccoglimento, dedicato a tutti i caduti del 15° Stormo, dell’Associazione e, più in generale, dell’Aeronautica Militare. Un pensiero commosso è stato rivolto dai presenti ai due sfortunati piloti del 70° Stormo che, proprio quella mattina, hanno perso tragicamente la vita nell’Agro Pontino.
Al termine della cerimonia, i partecipanti hanno potuto ritrovarsi in un momento conviviale con un sobrio rinfresco, al quale ha preso parte anche il personale dell’85° in servizio. L’occasione è stata arricchita da una raccolta fondi a scopo benefico, che ha riscosso un’ampia adesione e ha permesso di raccogliere un contributo significativo.
La somma raccolta sarà destinata in beneficenza a sostegno delle attività delle missioni monfortane in Malawi. In segno di gratitudine, è giunto anche il ringraziamento del vice parroco della Parrocchia San Luigi Montfort, della diocesi di Roma, e della responsabile della ONLUS che segue i missionari in Malawi, confermando il valore concreto e solidale dell’iniziativa.
La giornata si è così conclusa in un clima di partecipazione, memoria e solidarietà, riaffermando ancora una volta lo spirito di coesione dell’Associazione Gente del Quindicesimo.
Il memoriale ai caduti di fronte al piazzale dell85° Centro SARIl 2° Vicepresidente AG15 pronuncia il suo discorso alla presenza dei Presidenti Onorario ed Emeriti e dei Soci intervenutiIl 2° Vicepresidente AG15 pronuncia il suo discorso alla presenza dei Presidenti Onorario ed Emeriti e dei Soci intervenuti
Il momento di fraternizzazione tra i Soci Ag15 e il personale 85°Si raccolgono donazioni per i missionari in MalawiIl sorriso che il trascorrere dei momenti insieme ci regalaUn HH139B fa da sfondo al momento convivialeLa lettera della Parrocchia San Luigi di Monfort
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