Lettera al Pellicano

– di F. Rispoli –

   Caro vecchio amico, in questi tuoi ultimi giorni di vita operativa tutti parlano di te, in tanti si adoperano per condividere le esperienze vissute in tua compagnia, abbandonandosi in racconti ricchi di emozioni ed esplorando i meandri più suggestivi delle loro memorie.

D’altronde chi conosce la tua storia sa bene che sei stato il protagonista assoluto di imprese uniche nell’ambito della ricerca e del soccorso aereo, ma anche di momenti curiosi e significativi per chi li ha vissuti al tuo fianco.


Ebbene, anche io ho deciso di scrivere di te. Voglio essere il portavoce di quei pochi fortunati che ti hanno conosciuto già “vecchio”, quando ormai ti avevano già cambiato più volte le vesti e cercavi con affanno di portare a termine le tue fatiche con il tuo abito più nuovo, ossia quella versione “Charlie” che tanto ti pesava, ma alla quale avevi risposto si ancora una volta.

Già, perché tu hai sempre onorato chi ti ha impiegato, dalle tue missioni SAR in cui davi mostra dei tuoi colori sgargianti sia in mare che sui terreni più impervi, passando poi per le tue prime missioni “top secret” in abito scuro, fino a quando in abiti mimetici hai sorvolato deserti sabbiosi e Paesi lontani.

Chi ti scrive non ha vissuto in prima persona tutto questo, ma i tuoi migliori uomini hanno saputo tramandare con passione l’eco delle tue avventure, a tal punto che ho maturato la sincera convinzione che ad oggi puoi essere definito uno dei tanti miti che la nostra Forza Armata ha avuto nella sua storia. Siamo stati poco insieme, le mie centinaia di ore con te stanno in un palmo della mano, ma mi reputo fortunato, orgoglioso di essermi seduto ai tuoi comandi, di averti fatto spiccare il volo nonostante la tua mole e di averti tenuto fermo in volo in ogni situazione mentre svolgevamo i nostri delicati compiti.

Eppure, quando in quella fredda giornata di dicembre del 2006 arrivai al 15° Stormo, dal piazzale antistante la Tana dei Leoni ti guardavo con un po’ di diffidenza. Stavi là fermo che riposavi dopo le fatiche in Iraq e ti utilizzavano poco, sembravi la reliquia di te stesso.
Sondando un po’ gli animi degli altri piloti molti ti consideravano già finito e addirittura qualcuno nutriva dei dubbi che io potessi volare con te, considerando che ancora dovevo andare a Frosinone e sarebbe passato qualche anno prima di iniziare il corso presso il CAE. Intanto, con il passare del tempo sentivo raccontare delle tue storie, di tutte quelle volte che come un padre di famiglia avevi riportato tutti a casa sani e salvi e di come in Iraq nonostante il clima e le difficoltà delle operazioni hai sempre permesso di portare a termine le missioni assegnate.

Dopo qualche anno, nel 2009 con l’arrivo della primavera, si decise finalmente di approfondire la nostra conoscenza ed iniziai a studiare tutti i tuoi segreti, anche perché con tutte le modifiche che avevi subito era davvero difficile capire bene il tuo funzionamento. Il mio addestramento proseguiva lentamente ma data la mia caparbietà nel voler a tutti i costi essere anche solo un piccolo tassello della tua storia, ero alla continua ricerca di ore di volo utili, negli orari più scomodi e meno affollati, cercando di convincere gli istruttori che ero pronto per completare l’addestramento anche in tempi più brevi.

Il tanto atteso esame per la prontezza operativa SAR fu soltanto una formalità.

Lo ricordo ancora con emozione, i controlli e quell’ingaggio del rotore durante il quale ti abbandonavi ad un piacevole moto ondulatorio, quasi a voler cullare i membri dell’equipaggio per rassicurarli che saresti stato ancora una volta il buon padre di famiglia. La prima parte del volo fu impegnativa, l’istruttore che mi interrogava e cercava di testare la mia reazione allo stress, poi il volo divenne più piacevole con gli ammaraggi al lago di Albano e la simulazione di qualche emergenza in aeroporto, il tutto culminato con un fresco gavettone a terra da parte dei Leoni armati di bagnarola.

Dopo qualche mese venne l’ora del mio primo soccorso, per te era una cosa semplice lo so, ma andare di notte a Ponza per la prima volta e in tempi rapidi rappresentò comunque una bella prova per me, soprattutto considerando le emozioni che provai per aver salvato la vita a quel bambino col trauma cranico e bisognoso di cure urgenti.

Poi ce ne sono state altre, poche è vero, ma che hanno segnato in modo indelebile il mio cammino, come quella notte all’Isola del Giglio o quella volta che dopo aver atteso tutta la notte svegli finalmente arrivo il task per intervenire in Liguria, dove le meravigliose coste delle Cinque Terre erano state devastate da una tragica alluvione. Ebbene si, in quell’occasione forse abbiamo avuto entrambi una cocente delusione, proprio te che avevi alle spalle gloriosi soccorsi in situazioni simili sei stato reso impotente davanti quelle persone che agitavano le braccia da sopra i tetti, impossibilitati ad intervenire a causa del compito ufficialmente assegnatoci, che in quel momento era solo quello di trasportare i soccorritori da un punto all’altro. A salvare i malcapitati sui tetti ci avrebbe pensato qualcun altro. Quel giorno fu brutto anche per me, che speravo di ripercorrere almeno per poche ore i racconti degli eroi del SAR e che invece tornai a casa con l’amaro in bocca.

La mia motivazione fu subito risvegliata da un ulteriore stimolo, quello di ottenere anche la prontezza operativa nell’ambito del Combat SAR. In quest’ultimo campo già da anni non si parlava più di te, con la bassa percentuale di efficienza che riuscivi a garantire era difficile per il Reparto mantenere viva questa capacità, tuttavia ricordo che non mi persi d’animo e con il parere favorevole della sezione addestramento riuscimmo a portare a termine il programma, facendo notevoli sforzi per combinare missioni addestrative in formazione e cercando di inserirmi nelle esercitazioni specifiche per volare le missioni previste.

Ricordo i decolli notturni dai monti della Tolfa, gli elicotteri delle altre Forze Armate con i quali operavamo in missioni congiunte e le immagini verdognole dei visori NVG, le truppe che scendevano attraverso la tua comoda rampa posteriore e gli operatori di bordo in postazione pronti al fuoco.

Dal viterbese siamo poi andati in Spagna, per fornire il nostro contributo agli assetti NATO impiegati nel TLP Flying Course.

Ti sentivi come un brutto anatroccolo in quel piazzale ricco di velivoli “caccia”, ma poi al ritorno dalla missione con a bordo il sopravvissuto recuperato oltre le linee nemiche ci sentivamo i migliori, forse anche con eccesso di spavalderia, ma in fondo tu eri pur sempre il vecchio caro amico arrivato in Italia nel 1977, quindi era inevitabile che l’orgoglio pervadesse tutto il nostro ambiente.

Ora che lo Stormo sta per voltare pagina puoi essere certo che gli anni passati con te serviranno come solida base e fonte di esperienza per le missioni future. I nuovi mezzi sono all’avanguardia e pronti a ripetere le tue eroiche gesta.
D’altra parte non devi prendertela se ti stanno per sostituire, ogni percorso ha una partenza ed un punto di arrivo, ma tu puoi starne certo sei arrivato in alto, la tua storia può renderti orgoglioso e col quel nasone puntato verso l’alto anche in mostra statica fai la tua bella figura, sperando che i tuoi successori più moderni ti prendano da esempio e tentino di emularti.

Spero tu abbia gradito queste mie poche righe, che ho scritto cercando di interpretare lo stato d’animo di tutti quelli che come me ti hanno frequentato per pochi anni, ma nei cui cuori sei riuscito inevitabilmente a lasciare il segno della tua bontà.

Addio caro vecchio Pelikan

Mammajut


Un recupero nel 2011

 

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