“C’eravamo anche noi…”
Così cominciavano le storie che da giovane neo assegnato al 15° Stormo mi ritrovavo a leggere e trascrivere nelle pagine di quello che sarebbe diventato il “Nec in somno quies. Volume II” e con queste stesse parole mi ritrovo a cominciare questa storia.
In me, anche se era passato del tempo, c’erano ancora i volti dei colleghi che avevano vissuto il rischieramento dello Stormo in Somalia.
Li osservavo ed apparivano come drogati da quell’avventura che li aveva contemporaneamente sconvolti ed ammaliati. Quasi invidiavo quella complicità con la quale si riunivano a raccontare aneddoti ed avventure, comiche o terrificanti che fossero. E così quando, anni dopo, il Capo mi rivolse quella semplice domanda “allora vieni con noi?” in me riaffiorarono quei sentimenti e scordai impegni, famiglia e paure. Dissi “sì!”.
Altre volte avevo condiviso le uscite dello Stormo, ma sapevo che quella non sarebbe stata come le altre e così quella mattina del 28 agosto 2003 mi ritrovai imbarcato su un C130J, infagottato nella tuta desertica e pieno di incosciente consapevolezza.
Appena misi piede in quella storica terra il caldo mi avvolse fino ai polmoni. La sabbia copriva tutto, come una donna nasconde il viso vergognosa delle sue rughe. Qualcuno ci fece riunire in una tenda e lì, in quel momento, capii a cosa avevo detto sì.
Una volta assorbito l’impatto iniziale ed organizzato il lavoro cominciai a respirare quell’aria di cui avevo tanto sentito parlare. La Gente del 15° era là. Equipaggi, piloti, specialisti e topi d’ufficio come me, tutti un’unica famiglia. Tutti padri e tutti figli allo stesso tempo.
Oggi quel periodo sembra essere passato velocemente, ma se mi soffermo con la mente a quelle situazioni ricordo nitidamente come fossero lunghi i giorni e corti le notti.
Ma un giorno, come spesso accade nella mia vita, la routine si spezzò e mi fu chiesto di svolgere un lavoro di coordinamento presso i nostri colleghi dell’Esercito ed al mio “sì” (e due) mi ritrovai a lavorare tra le file della gloriosa Brigata Sassari e con i suoi valorosi uomini. Ve lo immaginate voi Ianpepp a fare il pendolare a Nassiria e a “quindicizzare” i ligi “verdoni”?
Io veramente non mi ci vedevo molto, ma passate le tre settimane previste, e tornato tra i Pellicani, non passò molto tempo che mi fu proposto di ritornarci e… anche stavolta dissi “sì” (e tre). Questa volta l’incarico era entusiasmante. Si trattava di collaborare con il servizio di Pubblica Informazione.
Mi sembrava di vivere in prima persona quei racconti della Somalia ed in me immaginavo le cose che io avrei raccontato al mio rientro. Mi sentii come al primo giorno di scuola, accompagnato dai genitori (la scorta) e lasciato là sull’uscio di una palazzina bassa, di colore rigorosamente bianco, posta appena dopo la recinzione protetta che delimitava l’area insediata dall’Esercito.
Sul muro si distingueva il dipinto di un cavallo bianco (da cui il nome della base “White Horse”). Mi presentai al personale con il quale avrei dovuto lavorare ed i loro volti mi sembrarono subito familiari. In quelle due intense settimane la mia vita nel deserto si sdoppiava. Mi svegliavo tra i familiari rombi dei nostri Pellicani e proseguivo la giornata tra la polvere mossa dai cingolati della Brigata Sassari.
Fino a quella tragica mattina del 12 novembre, quella mattina che segnerà la mia vita. Ogni attimo di quella mattina è in me indelebile.
Ogni volto che spesso riaffiora tra i giornali o nei filmati commemorativi io lo rivivo come fosse oggi.
Rivedo Massimo che sorridente come sempre mi augurava una buona giornata, oppure Silvio che preparava con cura il suo equipaggiamento e dava disposizione su come si sarebbe dovuta svolgere quella giornata a Nassiria e i ragazzi che concitatamente attrezzavano la camionetta per l’uscita. Quella è la foto che ho di loro e quella che oggi rivedo ripensando a loro.
Quella mattina c’era anche il Pellicano, che pochi minuti dopo l’attentato era là, sopra quel cielo annerito da una coltre di fumo e sabbia, erano là i nostri Pellicani, ancora una volta a portare i soccorsi dal cielo, impavidi e coraggiosi come “leoni”.
Quei leoni che ci sono sempre……….
C’ero anch’io …
Per non dimenticare …
MAMMAJUT