Occhi di bragia e Santa Lucia (di Giorgio Russo)

L’insegnante di MTU era precisissimo. Almeno tanto quant’era preparato. Ci mostrò ogni virgola e vite dell’HH3F. Le sue interrogazioni erano memorabili. Eravamo giunti al punto di sapere praticamente tutto della macchina che di lì a poco avremmo pilotato, persino il valore dei filtri distribuiti nell’impianto idraulico: cinque micron. Era riuscito a inculcarci l’idea di un capolavoro tecnologico che, a tratti, sembrava sfiorare la delicatezza dei meccanismi di precisione.

Al termine del corso, questa convinzione ci accompagnò nelle nostre nuove destinazioni. Iniziai il tour della mia Base scortato da uno straordinario Sottufficiale, Specialista di qualifica (definizione dell’epoca), ma soprattutto speciale di carattere. Tanto da essere considerato urbi et orbi il nume tutelare dell’84° e anche dell’intero Stormo: l’indimenticabile Dante Stifanelli.

Quando varcai la soglia dell’hangar di manutenzione, i lavori fervevano. Man mano che mi avvicinavo, un rumore particolare diventava sempre più nitido. Un HH troneggiava sulla destra, con tanti tecnici attorno ai suoi pannelli aperti. Quasi abbracciato a uno di essi, uno Specialista risaltava rispetto agli altri. Barba lunga, riccia, occhi di bragia e vocione dalla forte inflessione locale: un personaggio a prima vista. Il rumore si arrestò. Lui mi diede il benvenuto, scambiammo qualche parola e poi riprese a lavorare.

Istantaneamente, lo strano rumore risuonò daccapo. Guardai più attentamente. Restai di sale. Quell’uomo stava impugnando uno strumento impensabile. Perché, dinanzi ai miei occhi ancora imbevuti di cifre e micro regolazioni, un pesante martello di legno sembrava calare sugli steli idraulici a guisa di mannaia. “Ma come? I cinque micron? Che fine hanno fatto?”, mi chiesi incredulo. Ero finito nell’antro di Efesto? No, affatto. Oppure sì, se si considera la bravura del dio greco. Infatti, bastò pochissimo per capire la grande abilità manutentiva di quegli uomini.

Qualche anno dopo iniziarono i miei trasferimenti. Ma rientrai di nuovo a Brindisi, questa volta da Comandante, prima di spostarmi ulteriormente in altre mete lontane.

Da allora ho rivisto Occhi di bragia solo due anni fa. In pochi minuti abbiamo riassunto storie di anni. Compreso il suo inatteso “Lei è stato l’unico a…”. Non si riferiva a un episodio direttamente legato al volo. Ma richiamava una pagina di vita tra uomini che hanno incrociato i loro percorsi sino a stringersi in un abbraccio, con l’identico aroma di sigaro all’anice emanato dalla sua barba, capace di trasportarmi in un attimo al nostro primo incontro. E al ricordo del mio insegnante.

Pochi giorni dopo, il Raduno a Vigna di Valle per celebrare l’esposizione dell’HH 3F nel Museo AM fece vorticare ancor più i pensieri, mentre mi sfilavano dinanzi i volti di una vita. D’altronde, da buon alato rotante, ho continuamente sostenuto che bisogna avere sempre qualcosa che ruoti in testa. Ovviamente facendo il gesto del rotore con l’indice della mano.

Tornato a casa, feci spazio in libreria per riporvi l’ultimo volume Nec In Somno Quies (NISQ), ritirato al raduno. Nascosta tra le varie copertine sullo scaffale, una cartellina blu scivolò a terra con i suoi fogli. Sorprendenti. Perché all’improvviso riapparivano pagine dimenticate lì da anni, che narravano un’avventura di tanto tempo prima. Il protagonista? Ebbene sì, proprio lui, il mio famoso insegnante di MTU, che in realtà era innanzitutto uno tra i più esperti e qualificati Piloti Istruttori.

Quindi, per un’imprevedibile e casuale serie di avvenimenti, nell’arco di una manciata di giorni mi trovai a rivivere fatti e situazioni che coprivano l’inizio e la fine della mia attività di pilota H24 in seno al Quindicesimo, tutti marcati da un comune denominatore: lo stesso Ufficiale.

Come chiamare simili eventi? Coincidenze? E come mai quel racconto tornò alla luce nell’esatto momento in cui stavo sistemando un libro che, manco a farlo apposta, raccoglieva vicende di volo?

Ho subito pensato che quel lontano avvenimento sarebbe immediatamente entrato in un volume NISQ. Era stata un’esperienza fortissima e aveva messo alla prova tutte le capacità del Capo Equipaggio. Il quale avrebbe sicuramente descritto anche tanti altri momenti se l’Amor che tutto move non l’avesse chiamato lì, in alto, nel Paradiso dei Piloti.

Allora, perché ne parlo io adesso? Tutto scaturisce dal rapporto di grande amicizia e stima professionale con questa persona, nato per l’appunto sui banchi dell’MTU e continuato sino all’ancor oggi incredibile atto finale.

Fu quindi assolutamente naturale incontrarci nei giorni immediatamente successivi all’episodio, per ragionare sull’accaduto.

Io avevo lasciato da poco lo Stormo per lo Stato Maggiore, destinato alla Sacrestia (nickname allora del 1° Reparto) e il mio ex insegnante (da ancor meno tempo) aveva lasciato il Comando del Centro Addestramento Equipaggi (CAE).

Era una storia troppo interessante. Decidemmo di assegnarci due ruoli. A lui andò, logicamente, la parte del protagonista. Io assunsi, invece, quella dell’intervistatore, per raccogliere le sue sensazioni e riversarle in un articolo, a sua firma, che non ho mai saputo se sia effettivamente apparso o meno sulla Rivista Sicurezza del Volo. Come non conosco, peraltro, neppure i risultati dell’Inchiesta.

Ma qual è, dunque, il nome di questa straordinaria figura? Eccolo, finalmente. È quello di un altro indimenticabile personaggio: Gino Fischione.

Con lui mossi i primi passi sull’HH-3F. La passione per il volo era l’elemento che ci accomunava e lui riusciva a trasmettere la sua con enorme entusiasmo. Non con le semplici parole, ma con la ricerca tendente alla perfezione della manovra, attraverso la corretta regolazione dei parametri, frutto di attenti studi, e l’armonico sviluppo delle traiettorie in rapporto allo spazio.

Abbiamo volato tante volte insieme sull’H3, ma anche su altre macchine e in Stormi diversi. Finanche all’aeroclub. In ogni missione siamo andati alla ricerca della soglia più avanzata possibile per la specifica attività. Grande pianificazione iniziale e poi in volo. In campo e fuori campo. Sull’impegnativa vetta del Gran Sasso (un suo must) o al largo sul mare. A bassissima quota o in strumentale. Con i visori notturni o nell’applicazione delle tattiche evasive. Nello studio delle manovre di presentazione per gli Air Show o nell’atterraggio in aree ristrette, dove bisognava incunearsi tra le montagne con traiettorie serpeggianti per intercettare l’unico sentiero idoneo a centrare spazi poco più larghi del rotore. Sino alle tante (oggi impensabili) simulazioni di emergenze combinate, in ogni condizione, con un dosaggio attentissimo dei comandi e le lancette degli strumenti che rasentavano i limiti.

Una concentrazione totale che imponeva il ricorso a tutte le proprie capacità, per sentirsi in piena sintonia con il mezzo. Ma sempre nel massimo rispetto della sicurezza e con la convinzione, quando tornavi a terra, di aver provato e imparato ogni volta qualcosa in più, per essere pronto a operare al meglio nelle situazioni reali. Avevamo stabilito quel feeling così raro che, quando accade, ti dà il senso di una vera ricchezza.

Era una tale sintonia di pensieri che, nell’ascoltare la descrizione della sua emergenza, piena di congetture, percezioni ed emozioni a ogni parola, mi sembrò di rivivere quell’avventura assieme a lui nel cockpit.

Dal nostro incontro scaturì la storia illustrata poche righe più sotto. E con essa la risposta alla precedente domanda del perché sia io a parlarne ora.

Il motivo è il desiderio di rendere omaggio a una Figura di rilievo attraverso uno scritto che, accanto alla mia, avrà anche la firma di Gino (con la speranza che me lo conceda da lassù), per tutto ciò che ha vissuto, dimostrando di saper gestire un’evenienza altamente critica, grazie al suo instancabile desiderio di entrare in contatto con la macchina e sentirla propria in ogni condizione. Anche la più problematica. Anche quando un secondo sembra durare un secolo.

Quest’enorme dilatazione del tempo emerge dal racconto riportato di seguito, dove Gino parla in prima persona.

«Ero davvero felice di andare in volo. Avevo lasciato il comando del CAE da pochi giorni e i preparativi per il cambio mi avevano tenuto più lontano del solito dal mio impegno quotidiano: volare, per l’appunto. Per questo motivo, ero completamente preso dalla pianificazione.

Chino sulla carta di navigazione, assaporavo appieno la sottile eccitazione che prelude a ogni decollo. Volevo immergermi nel blu. E poi, avevo un motivo in più per essere allegro: i miei passeggeri.

Avrei mostrato il “mio” HH3F a una squadra del Centro Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS), gli alpinisti aerosoccorritori che usavano in prevalenza l’AB212 e nemmeno immaginavano le capacità di questo magnifico vettore. Con tali pensieri in testa, staccai finalmente le ruote da terra per una missione di rinnovo carta strumentale.

A bordo eravamo in tredici: io, istruttore, con trent’anni e più di Aeronautica, innamorato perso del volo; il giovane allievo, determinato a fare una bella missione e con qualche perlina di sudore tra una radiale e l’altra; l’equipaggio, sornione in postazione; dietro, gli amici alpinisti, curiosi indagatori del nuovo elicottero.

L’aria, fuori, era calma e tersa, senza la minima turbolenza. Qualche migliaio di piedi più sotto si stendeva la placida immensità del mare.

Trasparenze rosa e azzurre all’esterno, clima cordiale e amichevole in cabina: cosa ti aspetti in una situazione del genere? Di livellare tra 500 piedi, proseguire verso Ponza e…certamente non di sentirsi in una frazione di secondo come cubetti di ghiaccio nello shaker!

La quiete idilliaca era sparita di botto. Ciò che vedevo all’esterno era inspiegabile. Non avevo più una sola traccia del disco rotore a segnare la mia posizione rispetto all’orizzonte, ma ben due. Circa mezzo metro più sotto rispetto alla normale linea, infatti, se n’era formata una seconda. Ragion per cui, a ogni giro delle pale (avete idea di quanti giri al secondo compia il rotore di un elicottero?), tutte le persone a bordo, me compreso, erano forsennatamente sbattute prima in aria, poi in basso e in ogni direzione. Sembravamo palline da ping-pong in un match serratissimo.

Le mani stringevano i comandi, la mente andava a mille. Cercavo soluzioni, ma non capivo nulla. Le indicazioni che avevo non erano contemplate in nessuna procedura. Non sapevo cosa fare. Quell’emergenza non era prevista. Non poteva esistere.

L’unico dato di fatto era che l’elicottero sembrava ingovernabile. Aiuti? Zero assoluto. Tranne la voce del mio istinto. Volevo tentare qualcosa di simile a un’autorotazione, ma era impossibile abbassare completamente la leva del collettivo. Intuivo, però, che l’unica alternativa praticabile doveva per forza limitarsi a una lieve pressione verso il basso.

Intanto continuavamo a essere shakerati ma, nonostante la vigile attenzione (la parola paura non suona bene), la mente era lucida. Perciò riuscii a realizzare che quella manovra consentiva di stabilizzare almeno in parte le vibrazioni. Erano sempre violente, per usare un eufemismo, ma l’elicottero dava segni di risposta ai miei input.

Decisi di iniziare la discesa, sperando che fosse controllabile e non mi costringesse a seguire la legge del caddi come corpo morto cade di dantesca memoria. Flutter, risonanza, distacco del rotore: i miei pensieri erano ipotesi molto, molto probabili in quel frangente.

Fu un momento decisamente particolare che mi si è fissato in testa, soprattutto perché sentii crearsi a bordo un’unica coscienza. Non eravamo più i singoli membri di un equipaggio, ma una sola mente che tentava di trovare spiegazioni, comportamenti, soluzioni. Non c’era spazio per l’artiglio della paura. Pensavamo unicamente a cosa fosse accaduto e a come risolvere il problema. All’unisono.

Nonostante gli sforzi, però, il nostro CRM non produceva nulla di concreto. Avevamo chiuso il piano di volo IFR e ci trovavamo in un’interminabile discesa a vista verso la costa, una riga a poche miglia dai nostri occhi, ma a un’infinità dai nostri cuori.

Sballottati ovunque, eravamo in contatto con un PD 808 che aveva raccolto il nostro segnale d’emergenza e ci seguiva a distanza ravvicinata, imitato più tardi anche da un SF 260 che si aggiunse ai testimoni della nostra piccola (?) odissea.

Erano trascorsi otto lunghissimi, spasmodici minuti. La terra era lì, a sole due miglia, ma ogni tentativo di raggiungerla era vano. La rabbiosa reazione dell’elicottero amplificava incontrollabilmente i sobbalzi.

Non c’era più nulla da fare. Ero costretto ad ammarare. La prospettiva non mi piaceva affatto, ma la calma piatta del mare in qualche modo mi rassicurava. E quindi giù, muso a cabrare, velocità in diminuzione e, infine, ballando, ballando ancora un minuto, il tanto atteso contatto con l’acqua.

I grandi spruzzi del deciso splash ci annunciarono che eravamo finalmente in salvo.

La speranza era stata tanta, ma ci convincemmo di aver fatto bene a sperare solo quando riuscimmo a spegnere i motori e ad arrestare il rotore. Ora, fermi in mezzo al mare, potevamo assistere allo spettacolo di una pala che penzolava decisamente inclinata sulla nostra testa, trasposizione reale di una spada di Damocle ormai neutralizzata.

Il tempo di arrampicarsi sulla fusoliera e l’arcano sparì. Una pala del rotore era fuoriuscita dalla sede. Si era sboccolata. Un brutto termine che racchiudeva effetti ancor più brutti. Ma nel frattempo, i Nostri erano partiti ed erano già arrivati in zona.

Così, seduti in cabina, a mollo nel Tirreno, avemmo modo di vivere un’altra emozione. La stessa che prova una persona in pericolo quando sente sopra di sé il possente e inconfondibile rombo dell’HH3F.

In quel momento, ormai, per noi non c’era altro che qualche abbondante litro d’acqua di mare a bordo. Ma vedere l’H3 che recuperava la squadra del CNSAS nel rosseggiare del tramonto, fu uno spettacolo avvincente. E dire che la giornata non era stata certo avara di emozioni.

Sani e salvi, i nostri amici s’involarono verso la Base. Ma non l’equipaggio. Nessuno si sentì di abbandonare l’elicottero e i propri compagni. Neppure quando la vedetta della Capitaneria di Porto, giunta nel frattempo, iniziò a trainare il mezzo in panne sino al porto di Anzio.

Tutti insieme controllavamo con il GPS che la velocità non superasse i prescritti tre nodi. In realtà, inseguivamo i nostri pensieri a una velocità di gran lunga maggiore.

Infine, anche la nostra navigazione marittima terminò e, dopo lunghissime ore, riuscimmo a rimettere piede sulla terraferma.

Che bella sensazione sarebbe stata se non avessi sentito un discreto tremore attanagliarmi prima lo stomaco, poi il braccio, i muscoli e, infine, il corpo intero. “Adesso mi prenderà anche alla gola e non riuscirò neanche a parlare. Che figuraccia!”, pensavo.

Ma non accadde, né con il Comandante della Capitaneria, né con il cameriere del ristorante dove arginammo i morsi della fame (ma erano realmente della fame?). Non avvenne nemmeno quando vidi sulla porta mia moglie e mia figlia che, con il loro abbraccio, conclusero quell’incredibile avventura e placarono ogni tremore.

In mente mi tornavano soltanto le parole di un vecchio, caro Maresciallo pilota: “E anche questa volta abbiamo riportato lo scheletro a casa”.

Erano le 2:30 della notte. Il giorno prima era stato il 13 dicembre, Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia. Ma c’è sempre un’eccezione che conferma la regola, non è vero?».

               Giorgio F. Russo e Gino Fischione       

(P.S.)

Nonostante avessi messo su carta queste parole già un paio d’anni addietro, non le avevo ancora inoltrate all’Associazione Gente del 15°. Perché? Mistero per me stesso. Ma ora il galoppante incedere del tempo ha fatto scoccare una data particolare. Dieci anni da quell’ultimo volo sulla Terra di Gino Fischione: il suo decollo verso l’Empireo, il cielo più alto. Accanto a lui un altro amico, Paolo Caruso. Una Santa Messa in loro suffragio è stata celebrata il 20 ottobre 2025, nel Pantheon di Roma.

Mentre pensavo a cosa scrivere, ho distolto lo sguardo dalla tastiera. Sembrava che il piccolo casco-fermacarte dinanzi a me fosse diverso dal solito. Me lo diede proprio Paolo. Ora, invece, mi trovo a rivolgere le mie preghiere all’Altissimo per lui. Le stesse che innalzo all’Onnipotente per Gino. Ma stavolta penso che sia davvero giunto il momento di accompagnarle anche con questo suo ricordo a quattro mani, per noi uniti in fratellanza dal rombo del rotore.

Ad memoriam

Foto 1: da sinistra, Giorgio Russo, Gino Fischione e Leonardo (Leo) Lella, pilota civile, giornalista e appassionato di Aeronautica, soprattutto del 15°. Con Leo ho stretto i rapporti all’indomani dell’incidente di Gino. Lo ricordavamo sempre. Ma, da pochi giorni, pure Leo ha improvvisamente raggiunto Gino. Anche per lui levo in Alto le mie preghiere.
Foto 2: Palazzo Aeronautica – Disegno murale di Marcello Dudovich

In ricordo di Paolo e Gino (di Francesco Sgrenci)

Lunedì pomeriggio, 20 Ottobre, nella cappella all’interno del Pantheon a Roma, si è tenuta una messa in suffragio in coincidenza del decennale della scomparsa degli amici Gino Fischione e Paolo Caruso, che persero la vita in un tragico incidente aereo in località Campomorto, fra i Comuni di Lanuvio ed Aprilia, al confine delle province di Roma Latina, mentre effettuavano un volo di prova di un elicottero ultraleggero R22 di una società di Aprilia.

Ad organizzare la funzione è stata la nipote di Paolo Caruso, che oltre ad essere stato un pilota dell’Aeronautica, era una “Guardia d’Onore” al Pantheon.
Non potevano mancare gli Amici, che in rappresentanza di tutta la Gente del Quindicesimo, li hanno voluti ricordare. Alla fine della messa è stata letta e ne ho avuto l’onore, la preghiera dell’Aviatore.
Il Mammajut, per rispetto del luogo in cui ci trovavamo non è stato possibile “urlarlo”, ma in cuor nostro e a bassa voce glielo abbiamo dedicato: “Mammajut Gino… Mammajut Paolo…”
La cappela del Pantheon
Un momento della funzione religiosa
Lo stendardo delle Guardie d’Onore
La lettura della preghiera dell’Aviatore

Salvare Vite sacrificando la propria

COMMEMORAZIONE DEI CADUTI DI SACCOLONGO

Lo scorso lunedì a Creola di Saccolongo (PD) è stato reso omaggio alle vittime dell’incidente aereo del 20 ottobre 1977 che ha causato la morte di cinque militari del 15° Stormo che erano a bordo di un elicottero Augusta Bell 204B. 
Sono passati 48 anni dall’evento e desidero ricordare al lettore cosa successe.
L’AB-204 ebbe una emergenza grave che non permetteva di proseguire il volo: era necessario un atterraggio d’emergenza immediato. Ma la sorte non fu benevola e sulla traiettoria di discesa c’era una scuola materna e la canonica. L’equipaggio, con perizia e profondo senso del dovere, valutato l’imminente pericolo che sarebbe da lì occorso, riuscì – con l’energia residua – ad evitare abilmente il campanile della chiesa parrocchiale e la scuola, impattando rovinosamente al suolo in un campo coltivato.
Il Tenente Pilota Michele Grande, il Maresciallo Benito Stasi, il Sergente Francesco Santoruvo, il Sergente Sommozzatore Salvatore Pinto (del 3° Distaccamento SAR di Grottaglie) e il Maresciallo Infermiere Alfredo Miccoli (della Scuola Centrale Istruttori Volo – SCIV) persero la loro vita ma salvarono quella delle persone, dei bambini, che ignari stavano vivendo la loro.
La funzione religiosa è stata officiata da Don Emilio Moro, alla presenza del Sindaco di Saccolongo Signor Steve Garbin, del Presidente dell’Associazione Arma Aeronautica, Sezione di Padova, il Colonnello Aldo Palmitesta, del Comandante l’84 Centro SAR, Tenente Colonnello Ivano Sorrentino, di personale militare, di rappresentanze delle Associazioni combattentistiche e d’Arma, e autorità civili del luogo.
La cerimonia, sempre sentita e intensa, si è conclusa con il ricordo dei nostri colleghi Caduti che con l’estremo sacrificio impedirono il coinvolgimento di civili innocenti.
A loro il rinnovo di eterni cieli blu e il nostro Mammajut!
La messa di suffragio
Il memoriale all’ingresso

La lapide al cimitero

Lo schieramento del personale
Gli onori militari dopo la deposizione della corona d’alloro

La rappresentanza del 15° Stormo

La Fotografia

Nevio Lorenzoni era un “omone tutto d’un pezzo” alto, robusto e con una barbetta brizzolata che lo faceva somigliare a “Capitan Findus”, soprattutto quando fumava la pipa.
Ufficiale di Complemento, pur non brillando nella “forma militare”, aveva molta, molta sostanza come “pilota” e, complice anche il carattere affabile e gioviale, nonostante l’aspetto burbero, si faceva ben volere da tutti: raramente infatti indossava gli scarponi da volo “dell’Amministrazione” adducendo le seguenti scuse:
Sti scarponi so’ no schifo: dopo du vorte che l’ho messe se so’ aperte”,
oppure
Ar magazzino nun ce stà ‘r numero mio
… e quindi indossava delle polacchine marroni fuori ordinanza, che ormai anche i superiori tolleravano, perché “so’ anche più comode” – diceva.
Pur essendo il Comandante della 615ª Squadriglia Collegamenti, gli piaceva volare solo con l’elicottero AB-212, evitando il SIAI 208 ed il P166.
Un giorno gli chiesi: “Nevio, perché non voli mai con il SIAI 208?”
Mi rispose: “Quer coso nun me piace. C’ha’r rotore troppo piccolo: nun fa l’autorotazione”.
Un’altra volta gli chiesi:
Nevio, ma tu l’abilitazione sull’HH-3F l’hai fatta?
Mi rispose:
Ma che so’ scemo? Seee…e poi così me tocca fà pure gli allarmi! Io la sera vojo sta’ a casa mia sul mare a Terracina!
In effetti, Nevio aveva una bella casa affacciata sulla spiaggia di Fondi, molto vicina a Terracina e, per questo, il suo pendolarismo non gli pesava molto.
Raramente dormiva in aeroporto, ossia solo quando era di servizio come Ufficiale d’Ispezione.
Ma, nonostante le apparenze e le espressioni da “ma chemmenefregammè” era uno di quelli sempre presente e disponibile:
“C’è da portare un pacco a Brindisi: chiamate Lorenzoni”;
“C’è da prendere dei documenti a Rimini: chiamate Lorenzoni”;
“C’è da fare il cambio equipaggio del Canadair a Pisa: chiamate Lorenzoni”;
“C’è da prendere il Capo di SMA da palazzo e portarlo a Viterbo: chiamate Lorenzoni”.
Ed in effetti, lui era sempre disponibile e presente pur di “dormire nel letto mio ogni sera”.
Con i primi piloti del 46° CPC (Centro Protezione Civile) si era instaurato un rapporto di reciproca simpatia anche perché durante il corso di abilitazione sulla macchina con gli istruttori canadesi i non ancora assegnati al 15° Stormo futuri piloti di Canadair erano stati ospitati nei locali della 615ª Squadriglia.
Come ogni Stormo che si comanda, i piloti “operativi” dell’85° Gruppo SAR poco sapevano su cosa effettivamente facessero “quelli della Collegamenti”: relegati in un “ufficetto” nel luogo meno visibile dell’hangar “Comando” e senza una insegna che ne evidenziasse la posizione, si accorgevano della loro esistenza solo quelle rare volte in cui gli HH-3F erano inefficienti e toccava a loro “montare d’allarme” con il 212. Altrimenti, sembrava che la 615ª fosse né più né meno un piccolo aeroclub privato a disposizione del Comandante di Stormo finalizzato solo a “far mantenere il brevetto di ala fissa” ai soliti quattro privilegiati e “andare a scazzafottere” con il S208 ed il P166.
Ma non era così.
In Aeronautica infatti, ad ognuno in cuor suo, piaceva sempre credere di sentirsi “superiore all’altro” in funzione dell’aeromobile su quale volava: i “Centoquattristi” ai “Ginovantunisti”, i Ginovantunisti a “Quelli dei Trasporti”, Quelli dei Trasporti (al loro interno a loro volta i Ci-Centotrentaisti superiori ai Gi-Duecendoventiduisti) agli “Antisommisti” e questi ultimi superiori agli “Elicotterari”.
I piloti istruttori alle Scuole di Volo erano fuori gioco perché “mica sono operativi”.
Dei piloti del 303° Gruppo di Guidonia e del Volo a Vela a mala pena se ne conosceva l’esistenza, figuriamoci quelli delle Squadriglie Collegamento!
Ed Il 31° Stormo??? Una chimera per super-raccomandati.
E così, i piloti “operativi” SAR sul mastodontico HH-3F, guardavano dall’alto in basso “i colleghi della Collegamenti” pur se ogni tanto “svolazzavano” con il SIAI 208 portandosi come passeggero un loro specialista.
Insomma Nevio era diventato un “amicone” per noi del 46 °CPC.
Un giorno di tarda primavera, era previsto un volo addestrativo con il “Cielle” proprio nella zona di Fondi.
Lorenzoni lo seppe e commise l’errore più grande della sua vita, cioè quello di chiedere al suo più grande “amicone” pilota di Canadair: “Se domani venite a Fondi, perché non passate davanti casa mia così ve faccio du foto? Magari potreste fà quarche sgancio! Fatemi un corpo de telefono prima di decollà, così me organizzo c’aa macchina fotografica sur terrazzo
Perché no?” – rispose il suo “amicone”, Capo Equipaggio di Canadair.
Il giorno dopo, in sede di briefing prevolo il CE (anche lui romanaccio DOC) illustrò la missione: “Bene. Dopo ’r decollo ci dirigiamo verso Cisterna di Latina, poi Borgo Piave, Terracina e Fondi.
Lì vediamo com’è ‘r mare, altrimenti facciamo degli scoop sul lago di Fondi. Poi …c’è Lorenzoni che ce vuole fa’ delle fotografie: tu sai ndò abita?
Certo Comandante” – gli rispose il Copilota, un giovane Tenente da pochissimo qualificato sulla macchina – “Conosco casa sua perché una volta ho volato con lui da passeggero sull’AB212 e ci siamo passati sopra. Dovrei ricordarmelo.
Dopo una mezzoretta di volo avevamo già lasciato Terracina in direzione Fondi: il mare non prometteva bene.
Nnamo ar lago daje” – disse il Comandante – “e poi nnamo a trovà Lorenzoni”.
E così, dopo 4 o 5 scoop, decidemmo di andare a trovare Lorenzoni.
Ultimo sgancio sul lago in direzione sud, viratona a sinistra puntando il mare e già ancora prima di arrivare sulla costa intravedemmo la sua casa: “Eccola – dissi puntando il dito – è quella là!
Mentre la sorvolavamo effettuando una vitata di 360°, intravidi Nevio che si affacciava sul terrazzo per poi rientrare a casa: poco dopo ne riusciva con la macchina fotografica sul treppiedi.
Iniziammo quindi lo show “fotografico”.
Ritornammo a caricare l’acqua sul lago, poi viratona larga a sinistra verso il mare per preparare il tratto “base” di quel circuito che ci avrebbe portato a sganciarla in mare davanti alla casa.
“TA-BOOM”: il rumore dei portelloni di scarico testimoniava il primo sgancio effettuato in direzione nord-sud.
Ci dirigemmo al lago per un secondo “scoop”.
Questa volta ci ripresentammo in finale in direzione opposta, sud-nord.
“TA-BOOM”: anche il secondo sgancio era stato fatto.
Adesso je famo fare una foto dar davanti?” – mi disse il Comandante, aggiungendo:
Che ne dici: jo famo??” (jo famo = glielo facciamo) guardandomi con un sorriso “diabolico”.
Non aspettò la mia risposta perché aveva già deciso.
Ci dirigemmo per l’ultima volta sul lago.

Facemmo un cortissimo scoop, il tempo di vedere gli indicatori di livello di carico appena alzarsi neanche “alla prima tacca”, dopodiché, facemmo un viratone largo a sinistra per entrare in quel tratto finale del circuito in cui il “target” era la casa di Nevio, o meglio, il suo terrazzo.
Dalla mia posizione, seduto a destra, mentre eravamo in sottovento riuscii a vedere Nevio, già in posizione di scatto, attraversarmi la visuale per tutto il finestrino di sinistra: vedevo contemporaneamente sia lui (già pronto dietro al suo treppiede) che il Capo Equipaggio, tutto concentrato e… diabolicamente sorridente!
Quel sottovento fu particolarmente lungo e lento, per consentire al buon Lorenzoni di preparare al meglio le inquadrature per gli scatti.
“TA-BOOM”: l’ultima immagine che ricordo nell’istante dello sgancio è quella di Lorenzoni che, poco prima di essere nascosto alla mia vista dal muso del Canadair, scappava allontanandosi dal treppiedi.
Che dici – disse il Comandante – l’hamo preso?
Quando atterrammo a Ciampino, il Comandante ricevette subito una telefonata da Lorenzoni: non ho mai saputo quale fu la sua reazione a caldo e cosa si siano detti.
Ma qualche giorno dopo, quando lo incontrai, gli chiesi: “Nevio, come sono venute le foto?”.
Lui rispose sorridendo: “A li mortacci vostra! Se v’acchiappa mi moglie ve sderena. E meno male che avevamo torto i tappeti! L’acqua è rimbalzata sur terrazzo, è entrata ner soggiorno, ha attraversato a cucina ed è uscita dar balcone dall’artro lato della casa. Comunque le foto sò venute bene… tranne l’ultima… a li mortacci vostra!”.

Nel 2019, il nostro Nevio ci ha lasciato per sempre: da allora non ritorna più la sera a dormire nel suo letto della bella casa di Terracina.
Ma io lo ricorderò sempre cosi, come “un amicone” sorridente (anche dopo il mega gavettone), un omone tutto d’un pezzo alto, robusto e con una barbetta che lo faceva somigliare a “Capitan Findus”, soprattutto quando fumava la pipa.

 

Nota dell’Editore

Devo ringraziare Antonello per aver condiviso un suo bellissimo ricordo di un collega che ha fatto parte e contribuito a costruire la storia del 15° Stormo.

Leggendo ho rivissuto una lontana Aeronautica Militare, quella di ancora prima che entrassi in Accademia, fatta di tanta volontà e capacità delle persone, dove l’orario di servizio, gli straordinari, non esistevano e, è vero, la componente ad ala rotante era poco considerata. Da allora, però, tanto è stato fatto ed è cambiato, soprattutto con l’introduzione della capacità Combat S.A.R. e l’impiego fuori aerea. Un’evoluzione che ha interessato tutta l’Arma Azzurra (e la società) e che oggi ci fa guardare a quel passato come ad un’epoca quasi pionieristica (e in fondo lo è stata). Oggi certe cose ci appaiono aliene, impensabili, perché la nostra mentalità è profondamente diversa e se abbiamo perso un po’ di quel senso di “famiglia” che si viveva allora, è altrettanto vero che le capacità esprimibili dal personale e dai sistemi d’arma sono molto superiori.

41° Anniversario del Sacrificio del Magg. Pil. M.A.V.A. Francesco Asti

Come annunciato in precedenza (vedi link: https://www.gd15.it/annuncio-ai-soci/41anniversario-del-sacrificio-del-magg-pil-m-a-v-a-francesco-asti/), oggi, 18 agosto 2025, nella ricorrenza del 41°Anniversario della sua scomparsa, è stata celebrata una messa in ricordo del Maggiore Pilota Francesco Asti all’interno del Monumento ai Caduti dell’Aeronautica Militare del cimitero monumentale del Verano, a Roma, dove riposano i suoi resti mortali.

Nonostante la data agostana e gli anni trascorsi, i Soci dell’AG15, gli amici e una rappresentanza dell’85° Centro SAR, guidata dal Comandante Bruno Monteferri, si sono ritrovati a condividere il ricordo di un collega che “era l’allegria fatta persona” (cit.), la cui vita sacrificata troppo presto ci ricorda che siamo di passaggio su questa Terra e che sta a noi stabilire come sarà questo nostro passaggio.

Il “privilegio di salvare vite“, di volare quando altri non lo fanno per soccorrere chi è in pericolo, per essere la speranza di vita di qualcuno, è comunque un’attività rischiosa. Ci si addestra tantissimo proprio per ridurne la pericolosità intrinseca, ma i rischi non possono essere azzerati.

Ecco perché Francesco Asti è importante per noi, Gente del Quindicesimo: ci fa da allora da luminoso esempio di dedizione e da monito per non dimenticare la caducità della nostra esistenza.

Trovandoci in un luogo dove riposano tanti altri colleghi che hanno perso la vita in servizio, la nostra preghiera li ha idealmente abbracciati tutti, assieme a quelli che hanno chiuso le loro ali naturalmente. (Ultimo in ordine di tempo il Socio Modesto Accardo, che è sempre stato presente al Sacrario per ricordare Asti).

Prima di lasciare quel luogo sacro, il nostro “Mammajut!” ha riecheggiato per Asti e per tutti i nostri amici e colleghi che hanno lasciato questa vita.

[Nota dell’autore]

Io non ho conosciuto Francesco Asti, sono arrivato al 15° Stormo, 85° Gruppo SAR, allora a Ciampino, nove anni dopo. Eppure, grazie al ricordo di chi lo conosceva, ma soprattutto grazie al profondo legame che si stabiliva tra i neo arrivati di tutte le categorie e gli “anziani”, fatto di giorni vissuti gomito a gomito, di addestramenti ed esami sempre più difficili, di una porta sempre aperta nelle categorie della manutenzione per una lezione di impianti aggiuntiva, Egli è diventato parte della mia storia e mi auguro possa esserlo per  molte altre generazioni di personale del 15° Stormo.

I partecipanti all’interno del Sacrario
Il Labaro dell’Associazione Gente del Quindicesimo
Il Colonnello Leonardo Barone, Presidente della Sezione di Pratica di Mare, legge il passo del messale scelto dal celebrante.
Il Priore Fabrizio legge la formula per la benedizione dei presenti

La lettura della Preghiera dell’Aviatore

Il Generale Mario Sorino, Presidente Emerito dell’Associazione Gente del Quindicesimo, dona ai presenti un ricordo del Magg. Asti.

41°Anniversario del sacrificio del Magg. Pil. M.A.V.A Francesco ASTI

Nella ricorrenza del 41° anniversario della sua scomparsa, la Sezione di Pratica di Mare della AG15 ricorderà la memoria della Magg. Pil. Francesco ASTI.

Il Magg. ASTI è caduto in servizio il 18 Agosto del 1984 nel corso di una missione notturna di soccorso al largo dell’isola di Ponza, nel tentativo di recupero da un sommergibile francese di un marinaio in imminente pericolo di vita, perdendo la vita ai comandi di un elicottero HH3F del 15° Stormo – 85° Gruppo SAR, che è stato coinvolto in un incidente di volo.

Per aver dato la vita nel tentativo di salvarne un’altra, il Magg. Francesco ASTI è stato decorato con la Medaglia d’Argento al Valore Aeronautico e con la Médaille de l’Aéronautique da parte del Governo francese alla memoria.

Invitiamo tutti i Soci, insieme a parenti ed amici, che intendono partecipare alla cerimonia a raccogliersi alle 09:30 presso il Sacrario dell’Aeronautica Militare al Cimitero del Verano (RM), ove sono custodite le spoglie mortali del compianto Magg. ASTI, per condividere un momento di ricordo e di preghiera.

Nello stesso giorno, i Leoni dell’85° Centro SAR, lanceranno in mare una corona di fiori sulle coordinate del luogo dell’incidente.

Trigesimo in memoria del Generale di Squadra Aerea Nello Barale

Trenta giorni dopo morte di una persona cara, si celebra il cosiddetto “trigesimo”, una Santa Messa in ricordo di un defunto. Per chi era legato da una relazione affettiva o l’avesse conosciuto è un momento importante, è l’occasione di poter pregare per lui tutti insieme un’ultima volta, con il pensiero che sia a guardarci e a vegliare su di noi.

E così, il 30 gennaio a Cesena, presso la Parrocchia dei Militari “Madonna di Loreto” della Zona Logistica del 15° Stormo, ed il 31 gennaio all’aeroporto militare “Mario De Bernardi” di Pratica di Mare, nella graziosa Cappella aeroportuale, sono state celebrate due Sante Messe in occasione del trigesimo della scomparsa del Generale di Squadra Aerea Nello Barale.

L’Associazione Gente del Quindicesimo (AG15) in primis, il 15° Stormo e quanti avevano avuto il piacere di conoscere ed operare con il Generale Barale, non avevano accettato di non averlo potuto degnamente salutare il 31 dicembre e quindi il saluto è avvenuto nel corso delle due celebrazioni di cui scrivo.

Il Generale Barale, fra i primi provenienti dai Corsi regolari dell’Accademia Aeronautica assegnato all’ala rotante, nel grado di Capitano fu inviato, a metà degli anni ’70 del secolo scorso, insieme al Capitano Leonardo Mazzucco negli USA, a frequentare il corso di abilitazione sull’elicottero anfibio HH3F  presso la US Coast Guard. L’assegnazione dell’HH3F fu un avvenimento assolutamente rivoluzionario per il 15° Stormo e per il Soccorso Aereo in ambito militare e civile e l’ampia attività operativa svolta nei due ambiti, in Patria e nei teatri operativi in Europa, Asia ed Africa, è stata la più concreta dimostrazione di quanto felice fu la scelta di dotare l’AM di tale vettore. Ecco perché noi anziani, appartenenti alle generazioni immediatamente dopo quella del Generale Barale lo abbiamo sempre considerato il capostipite di quanti contribuirono a tracciare ed immortalare una nuova vita per il 15° Stormo. E tale riconoscimento non viene solo dal personale navigante, dai piloti, ma anche da tutto il personale specialista. Del resto il 15° ha fortunatamente la peculiarità di volare in equipaggio e quindi di condividere in toto esperienze, emozioni e, per ciò che attiene all’attività professionale, unità di intenti e di pensieri.

Nello Barale, così come noi anziani eravamo abituati a chiamarlo, aveva insegnato a tutti noi quanto c’era da sapere su quella stupenda macchina che è stata l’HH3F; mise in piedi la struttura didattica, sia con la scuola a terra, sia con la formazione del nucleo di istruttori necessari ad effettuare la numerose abilitazioni per la mole di piloti assegnati allo Stormo in concomitanza con l’arrivo della sostanziosa flotta di HH3F. Ed in tutto ciò non si fece mancare l’attività operativa ed i turni di allarme, tanto da meritare una delle rarissime (e allora ancor di più!) Medaglie di Bronzo al Valor Aeronautico, concesse per l’attività di soccorso alle popolazioni per il terremoto dell’Irpinia e della Basilicata del 1980 (per il 15° Stormo furono solo tre nel corso di 1336 sortite per 1036 ore di volo n.d.r.).

Di seguito la motivazione:

1980 – Medaglia di Bronzo al Valore Aeronautico (interventi di soccorso nel sisma dell’Irpinia e Basilicata)

T.Col. Pil.   Nello  BARALE 

“Capo Equipaggio di un elicottero del 15° Stormo impiegato nell’attività di soccorso alle popolazioni colpite dal terremoto del 23 novembre 1980, con sprezzo del pericolo eseguiva prontamente una missione con altissimo grado di rischio per il trasporto all’ospedale di Napoli di persone estratte dalle macerie di una casa di Calabritto.

L’intervento, effettuato di notte, in zone impervie, in completa assenza di radioassistenza e con atterraggio in uno spazio esiguo e privo di segnalazioni luminose, era reso possibile grazie alla elevatissima efficienza professionale che consentiva una perfetta condotta del volo.

Esempio di altissimo senso del dovere e profonda solidarietà umana.

Calabritto, 26 novembre 1980.

E non pago dell’attività di volo, il Gen. Barale svolse tutti gli incarichi previsti in seno allo Stormo, compreso il Comando dell’85° Gruppo Volo a Ciampino e, quale primo Comandante, dell’83° Centro SAR a Rimini.

Ha lasciato, ma solo fisicamente senza mai abbandonarlo con il cuore, il 15° Stormo nel 1991, dopo averlo comandato per quasi tre
anni. Successivamente, da Capo Ufficio allo Stato Maggiore dell’Aeronautica – IV Reparto, fu l’artefice della versione “Bravo”  (il c.d. Codice B) dell’HH3F, quella che consentì l’ulteriore salto qualitativo e operativo del SAR nel Combat SAR, con il repentino allargamento degli orizzonti e degli impegni nel campo internazionale delle Operazioni Fuori dai Confini Nazionali (OFCN).

Ecco in poche parole – ma ce ne sarebbero volute molte di più -cosa è stato per noi il Generale di Squadra Aerea Nello Barale e non potevamo lasciarlo “partire” senza avergli tributato il nostro estremo saluto con il “Mammajut” che oggi a Pratica di Mare abbiamo urlato a gran voce e che è stato il nostro grazie di cuore per quanto Nello ha fatto per noi.

Ma non potevamo nemmeno andarcene senza aver lasciato un cuscino di fiori al monumento ai nostri Caduti che si trova nel piazzale antistante l’85° Centro SAR. Il momento di raccoglimento è stato dedicato anche al Generale di Divisione Aerea Carmine De Luca, già Presidente della AG15, e a tutti gli amici che hanno chiuso le ali di questa vita terrena per volare nell’infinito blu. Anche a loro abbiamo offerto il nostro Mammajut.

MAMMAJUT! Caro Comandante.

La Messa a Cesena
La Messa a Pratica di Mare
Un momento di preghiera a Pratica di Mare
Il Generale Sorino ricorda Nello Barale
La lettura della Preghiera dell’Aviatore
Foto di gruppo al Monumento ai Caduti dopo la deposizione del cuscino di fiori.

 

P.S. dell’Editore

Grazie di cuore al Generale Mario Sorino, non solo per questo articolo, ma soprattutto per il ricordo che ha condiviso con noi durante la funzione liturgica a Pratica di Mare, ricordo che gli ha inumidito gli occhi e stretto un nodo in gola.

Grazie anche ad Ernesto Ganapini e a Domenico Guerra per i loro contributi dalla celebrazione di Cesena.

Infine, desidero qui ringraziare Don Pierpaolo Oddo e Don Marco Galanti, rispettivamente i Cappellani degli aeroporti di Pratica di Mare e di Cervia, per aver celebrato le Messe e per le sentite parole da loro pronunciate. Sebbene non derivate da una conoscenza diretta ma ispirate dai racconti e dalle memorie di chi ha conosciuto il Generale Barale, la loro sensibilità cristiana ha cristallizzato parole particolarmente toccanti, sia nel ricordarne la vita ed una carriera d’eccezione, sia nel comprenderne in pieno la passione, lo spirito di servizio ed il senso del dovere che lo hanno caratterizzato e che devono essere di esempio alle donne e agli uomini che sono chiamati quotidianamente a portarne avanti la memoria, attraverso la missione del 15°Stormo, e che hanno “il privilegio di salvare vite”.

(Leonardo Barone)

Ricordando il Generale Barale (di Domenico Guerra)

Ho avuto l’onore di avere il Generale Nello Barale come mio primo Comandante di Gruppo al mio arrivo a Rimini nell’agosto 1980.

Ricordo che quando non c’era attività di volo e lui non era impegnato riuniva il Gruppo e ci faceva dei briefing inerenti l’allora giovane HH-3F, macchina da poco presa in forza dallo Stormo.
In seguito, da Comandante di Stormo, quando veniva in visita all’83° si soffermava a parlare con noi, ricordando vari episodi vissuti insieme al Gruppo.
Ho avuto anche l’onore di fare con lui l’ultimo volo con l’HH3F nell’estate del 2013 a Cervia presso lo Stormo, ricordo anche che, pur se non lo dava a vedere, era emozionato, ma dopo pochi minuti di volo la sua sicurezza era quella di sempre, come se non avesse mai smesso di volare.
Cieli Blu Comandante.
(Il Gen. S.A. Nello Barale ai comandi dell’HH-3F)
(Il Generale Barale – al centro – con l’equipaggio dell’83° Gruppo S.A.R. al termine del suo ultimo volo su HH-3F. L’autore del racconto, il Lgt. Guerra è alla sua destra, mentre alla sua sinistra c’è il Magg. Nanni. Chiudono a destra nella foto il Lgt. Squillante e a sinistra il M.llo 1^ Cl. Berluti)

Ciao Nello (di Mario Sorino)

Oggi, 31 dicembre 2024, è venuto a mancare uno di noi.

Oggi è venuto a mancare il Gen. S.A. c.a. Nello Barale.

Oggi è venuto a mancare uno speciale di noi.

Per tutti gli anziani come me è sempre stato semplicemente Nello, ed era così che veniva chiamato e riconosciuto. Nello non era speciale in quanto tale, siamo tutti uomini e donne normali, Nello era speciale per noi, per quello che era stato e per quello che rappresentava. Nello era l’HH3F. Insieme a Leonardo Mazzucco, verso la fine degli anni ’70 andò negli USA, presso la Coast Guard, per la transizione sul nuovo elicottero che l’AM stava per acquistare e quando tornarono i due furono i capostipiti della lunga fila di piloti che avrebbero fatto la transizione sull’HH3F. Dopo aver svolto gli incarichi al Gruppo di volo, Nello ha anche comandato il 15° Stormo. Ecco perché Nello è stato una colonna portante dello Stormo ed ecco perché oggi tutti quelli che hanno avuto l’onore di conoscerlo lo piangono. Piangono il Comandante e piangono anche l’uomo e l’amico.

Oggi non è un giorno di festa per noi del 15°, oggi è un giorno triste.

Vai e vola nel paradiso dei piloti caro Comandante.
Mammajut

Non tutti sanno che ……..

Francesco Fago in ricordo dei Caduti di Saccolongo.

Quando si va ad Abano o si passa da quelle parti, il nostro ricordo ed il nostro pensiero non possono che collegarsi nel tempo a quello sventurato ritorno a casa dell’AB 204 del 3° Distaccamento SAR del 15° Stormo, che il 20 ottobre del 1977 cadde a Creola di Saccolongo, portandosi via, strappandoci  cinque nostri amici e colleghi.

Francesco Fago, uno dei nostri aerosoccorritori, è passato ieri – 24 agosto 2024 – per quei luoghi e non ha mancato di onorare la memoria di quei 5 giovani, deponendo un mazzo di fiori sul monumento eretto a Creola di Saccolongo sul luogo dell’incidente.

In memoria di : Michele Grande, Benito Stasi, Alfredo Miccoli, Francesco Santoruvo e Pino Salvatore. Grazie a Francesco Fago.

 Mammajut