Ogni promessa è debito

2° Raduno 46 CPC

Lo avevamo promesso il 23 novembre 2024, quando si è svolto a Ciampino il 1° Raduno del 46° Centro Protezione Civile, in occasione del quarantennale della sua costituzione: ci dobbiamo rivedere almeno una volta l’anno! – ci dicemmo.

E così, mercoledì 15 ottobre 2025, ci siamo rincontrati per il 2° Raduno 46° Centro Protezione Civile, in una delle località più significative della storia del Reparto: il lago di Bracciano.

È qui che tutti noi avemmo il primo approccio con gli ammaraggi, i primi scoop, i primi sganci.

È qui che versammo litri di sudore.

Siamo un po’ meno dello scorso anno: gli anni avanzano, siamo tutti pensionati e gli effetti degli acciacchi hanno impedito a qualcuno di raggiungerci.

Eppure ci siamo.

Sembra che ci siamo salutati l’altro ieri e non quasi un anno fa.

Strette di mano calorose, sorrisi, sullo sfondo di un meraviglioso lago “piatto” come non lo era mai stato “ai nostri tempi”, e un Canadair CL-415 dei Vigili del Fuoco che si addestra…  come noi 41 anni fa sul CL-215.

Il tempo scorre veloce seduti a tavola, fra un piatto e un altro, fra un bicchiere di vino e un altro fra racconti e memorie.

Memorie e racconti “nuovi” che non ci eravamo detti un anno fa e che fanno intendere quanto intensa sia stata la nostra vita in quei “brevi” 4 anni ormai relegati alle “Memorie Storiche del 15° Stormo”.

Si ricordano anche i nostri amici che non ci sono più: Carlo, Italo, Eros, Rosario, Giampaolo, Sergio, Lucio, Paolo, Pietro, Gianfranco, e l’ultimo volato via, Firminio.

La promessa e la speranza di rivedersi tutti quanti il prossimo anno (o anche prima) è rinnovata: siamo tutti aviatori a riposo ed ormai la nostra “parabola” da un pezzo ha superato l’apice.

Ho anche il piacere di rincontrare l’istruttore del mio “pre solo”, di quando da Allievo del Primo Corso iniziai a mettere le ali a Latina, che non vedevo dal lontano 1979 e che si è unito a noi: ha finito la sua carriera da pilota volando con i Canadair in Turchia.

Oggi è lui la mia “ciliegina sulla torta” di una magnifico pomeriggio di ottobre.

 

La Fotografia

Nevio Lorenzoni era un “omone tutto d’un pezzo” alto, robusto e con una barbetta brizzolata che lo faceva somigliare a “Capitan Findus”, soprattutto quando fumava la pipa.
Ufficiale di Complemento, pur non brillando nella “forma militare”, aveva molta, molta sostanza come “pilota” e, complice anche il carattere affabile e gioviale, nonostante l’aspetto burbero, si faceva ben volere da tutti: raramente infatti indossava gli scarponi da volo “dell’Amministrazione” adducendo le seguenti scuse:
Sti scarponi so’ no schifo: dopo du vorte che l’ho messe se so’ aperte”,
oppure
Ar magazzino nun ce stà ‘r numero mio
… e quindi indossava delle polacchine marroni fuori ordinanza, che ormai anche i superiori tolleravano, perché “so’ anche più comode” – diceva.
Pur essendo il Comandante della 615ª Squadriglia Collegamenti, gli piaceva volare solo con l’elicottero AB-212, evitando il SIAI 208 ed il P166.
Un giorno gli chiesi: “Nevio, perché non voli mai con il SIAI 208?”
Mi rispose: “Quer coso nun me piace. C’ha’r rotore troppo piccolo: nun fa l’autorotazione”.
Un’altra volta gli chiesi:
Nevio, ma tu l’abilitazione sull’HH-3F l’hai fatta?
Mi rispose:
Ma che so’ scemo? Seee…e poi così me tocca fà pure gli allarmi! Io la sera vojo sta’ a casa mia sul mare a Terracina!
In effetti, Nevio aveva una bella casa affacciata sulla spiaggia di Fondi, molto vicina a Terracina e, per questo, il suo pendolarismo non gli pesava molto.
Raramente dormiva in aeroporto, ossia solo quando era di servizio come Ufficiale d’Ispezione.
Ma, nonostante le apparenze e le espressioni da “ma chemmenefregammè” era uno di quelli sempre presente e disponibile:
“C’è da portare un pacco a Brindisi: chiamate Lorenzoni”;
“C’è da prendere dei documenti a Rimini: chiamate Lorenzoni”;
“C’è da fare il cambio equipaggio del Canadair a Pisa: chiamate Lorenzoni”;
“C’è da prendere il Capo di SMA da palazzo e portarlo a Viterbo: chiamate Lorenzoni”.
Ed in effetti, lui era sempre disponibile e presente pur di “dormire nel letto mio ogni sera”.
Con i primi piloti del 46° CPC (Centro Protezione Civile) si era instaurato un rapporto di reciproca simpatia anche perché durante il corso di abilitazione sulla macchina con gli istruttori canadesi i non ancora assegnati al 15° Stormo futuri piloti di Canadair erano stati ospitati nei locali della 615ª Squadriglia.
Come ogni Stormo che si comanda, i piloti “operativi” dell’85° Gruppo SAR poco sapevano su cosa effettivamente facessero “quelli della Collegamenti”: relegati in un “ufficetto” nel luogo meno visibile dell’hangar “Comando” e senza una insegna che ne evidenziasse la posizione, si accorgevano della loro esistenza solo quelle rare volte in cui gli HH-3F erano inefficienti e toccava a loro “montare d’allarme” con il 212. Altrimenti, sembrava che la 615ª fosse né più né meno un piccolo aeroclub privato a disposizione del Comandante di Stormo finalizzato solo a “far mantenere il brevetto di ala fissa” ai soliti quattro privilegiati e “andare a scazzafottere” con il S208 ed il P166.
Ma non era così.
In Aeronautica infatti, ad ognuno in cuor suo, piaceva sempre credere di sentirsi “superiore all’altro” in funzione dell’aeromobile su quale volava: i “Centoquattristi” ai “Ginovantunisti”, i Ginovantunisti a “Quelli dei Trasporti”, Quelli dei Trasporti (al loro interno a loro volta i Ci-Centotrentaisti superiori ai Gi-Duecendoventiduisti) agli “Antisommisti” e questi ultimi superiori agli “Elicotterari”.
I piloti istruttori alle Scuole di Volo erano fuori gioco perché “mica sono operativi”.
Dei piloti del 303° Gruppo di Guidonia e del Volo a Vela a mala pena se ne conosceva l’esistenza, figuriamoci quelli delle Squadriglie Collegamento!
Ed Il 31° Stormo??? Una chimera per super-raccomandati.
E così, i piloti “operativi” SAR sul mastodontico HH-3F, guardavano dall’alto in basso “i colleghi della Collegamenti” pur se ogni tanto “svolazzavano” con il SIAI 208 portandosi come passeggero un loro specialista.
Insomma Nevio era diventato un “amicone” per noi del 46 °CPC.
Un giorno di tarda primavera, era previsto un volo addestrativo con il “Cielle” proprio nella zona di Fondi.
Lorenzoni lo seppe e commise l’errore più grande della sua vita, cioè quello di chiedere al suo più grande “amicone” pilota di Canadair: “Se domani venite a Fondi, perché non passate davanti casa mia così ve faccio du foto? Magari potreste fà quarche sgancio! Fatemi un corpo de telefono prima di decollà, così me organizzo c’aa macchina fotografica sur terrazzo
Perché no?” – rispose il suo “amicone”, Capo Equipaggio di Canadair.
Il giorno dopo, in sede di briefing prevolo il CE (anche lui romanaccio DOC) illustrò la missione: “Bene. Dopo ’r decollo ci dirigiamo verso Cisterna di Latina, poi Borgo Piave, Terracina e Fondi.
Lì vediamo com’è ‘r mare, altrimenti facciamo degli scoop sul lago di Fondi. Poi …c’è Lorenzoni che ce vuole fa’ delle fotografie: tu sai ndò abita?
Certo Comandante” – gli rispose il Copilota, un giovane Tenente da pochissimo qualificato sulla macchina – “Conosco casa sua perché una volta ho volato con lui da passeggero sull’AB212 e ci siamo passati sopra. Dovrei ricordarmelo.
Dopo una mezzoretta di volo avevamo già lasciato Terracina in direzione Fondi: il mare non prometteva bene.
Nnamo ar lago daje” – disse il Comandante – “e poi nnamo a trovà Lorenzoni”.
E così, dopo 4 o 5 scoop, decidemmo di andare a trovare Lorenzoni.
Ultimo sgancio sul lago in direzione sud, viratona a sinistra puntando il mare e già ancora prima di arrivare sulla costa intravedemmo la sua casa: “Eccola – dissi puntando il dito – è quella là!
Mentre la sorvolavamo effettuando una vitata di 360°, intravidi Nevio che si affacciava sul terrazzo per poi rientrare a casa: poco dopo ne riusciva con la macchina fotografica sul treppiedi.
Iniziammo quindi lo show “fotografico”.
Ritornammo a caricare l’acqua sul lago, poi viratona larga a sinistra verso il mare per preparare il tratto “base” di quel circuito che ci avrebbe portato a sganciarla in mare davanti alla casa.
“TA-BOOM”: il rumore dei portelloni di scarico testimoniava il primo sgancio effettuato in direzione nord-sud.
Ci dirigemmo al lago per un secondo “scoop”.
Questa volta ci ripresentammo in finale in direzione opposta, sud-nord.
“TA-BOOM”: anche il secondo sgancio era stato fatto.
Adesso je famo fare una foto dar davanti?” – mi disse il Comandante, aggiungendo:
Che ne dici: jo famo??” (jo famo = glielo facciamo) guardandomi con un sorriso “diabolico”.
Non aspettò la mia risposta perché aveva già deciso.
Ci dirigemmo per l’ultima volta sul lago.

Facemmo un cortissimo scoop, il tempo di vedere gli indicatori di livello di carico appena alzarsi neanche “alla prima tacca”, dopodiché, facemmo un viratone largo a sinistra per entrare in quel tratto finale del circuito in cui il “target” era la casa di Nevio, o meglio, il suo terrazzo.
Dalla mia posizione, seduto a destra, mentre eravamo in sottovento riuscii a vedere Nevio, già in posizione di scatto, attraversarmi la visuale per tutto il finestrino di sinistra: vedevo contemporaneamente sia lui (già pronto dietro al suo treppiede) che il Capo Equipaggio, tutto concentrato e… diabolicamente sorridente!
Quel sottovento fu particolarmente lungo e lento, per consentire al buon Lorenzoni di preparare al meglio le inquadrature per gli scatti.
“TA-BOOM”: l’ultima immagine che ricordo nell’istante dello sgancio è quella di Lorenzoni che, poco prima di essere nascosto alla mia vista dal muso del Canadair, scappava allontanandosi dal treppiedi.
Che dici – disse il Comandante – l’hamo preso?
Quando atterrammo a Ciampino, il Comandante ricevette subito una telefonata da Lorenzoni: non ho mai saputo quale fu la sua reazione a caldo e cosa si siano detti.
Ma qualche giorno dopo, quando lo incontrai, gli chiesi: “Nevio, come sono venute le foto?”.
Lui rispose sorridendo: “A li mortacci vostra! Se v’acchiappa mi moglie ve sderena. E meno male che avevamo torto i tappeti! L’acqua è rimbalzata sur terrazzo, è entrata ner soggiorno, ha attraversato a cucina ed è uscita dar balcone dall’artro lato della casa. Comunque le foto sò venute bene… tranne l’ultima… a li mortacci vostra!”.

Nel 2019, il nostro Nevio ci ha lasciato per sempre: da allora non ritorna più la sera a dormire nel suo letto della bella casa di Terracina.
Ma io lo ricorderò sempre cosi, come “un amicone” sorridente (anche dopo il mega gavettone), un omone tutto d’un pezzo alto, robusto e con una barbetta che lo faceva somigliare a “Capitan Findus”, soprattutto quando fumava la pipa.

 

Nota dell’Editore

Devo ringraziare Antonello per aver condiviso un suo bellissimo ricordo di un collega che ha fatto parte e contribuito a costruire la storia del 15° Stormo.

Leggendo ho rivissuto una lontana Aeronautica Militare, quella di ancora prima che entrassi in Accademia, fatta di tanta volontà e capacità delle persone, dove l’orario di servizio, gli straordinari, non esistevano e, è vero, la componente ad ala rotante era poco considerata. Da allora, però, tanto è stato fatto ed è cambiato, soprattutto con l’introduzione della capacità Combat S.A.R. e l’impiego fuori aerea. Un’evoluzione che ha interessato tutta l’Arma Azzurra (e la società) e che oggi ci fa guardare a quel passato come ad un’epoca quasi pionieristica (e in fondo lo è stata). Oggi certe cose ci appaiono aliene, impensabili, perché la nostra mentalità è profondamente diversa e se abbiamo perso un po’ di quel senso di “famiglia” che si viveva allora, è altrettanto vero che le capacità esprimibili dal personale e dai sistemi d’arma sono molto superiori.

La penna e la piuma

 

In questo aeroporto ci siamo passati tutti.

Qui siamo tutti “nati” come piloti.

E’ qui che l’Aeronautica Militare ha allevato per decenni dei “pinguini”, ai quali piano piano sono cresciute prima le piume e poi le penne.

Ed oggi, dopo 46 anni dalla mia “nascita”, mi ritrovo dinanzi all’hangar del 207° Gruppo Volo del 70° Stormo di Latina, quello che ai miei tempi era la SVBIE, Scuola Volo Basico Iniziale ad Elica.

Alle mie spalle c’è la linea volo del T260-B, ridenominato e aggiornato dal precedente SF-260 e ricolorato da arancione a grigio.

Tutto il resto sembra identico a 46 anni fa: la Torre di Controllo, il CDA, la Cappella Aeroportuale, gli alloggi, il Circolo e la strada malconcia vicino ai campi da tennis.

E’ una meravigliosa mattinata di Ottobre: nel cielo azzurro non si intravede neanche una nuvola, il sole “picchia” piacevolmente ed una fresca brezza marina mi accarezza il viso.

Ma oggi è un giorno particolare.

I portali dell’hangar sono aperti.

Al suo interno un grande paracadute bianco, spiegato,  è appeso al soffitto: al di sotto è stato allestito un altare.

All’esterno dell’hangar sono già schierati il picchetto della Guardia d’onore e la Banda dell’Aeronautica, circondati da un mare di persone, in uniforme e in borghese, donne e uomini, più o meno giovani.

Nessuno parla.

Tutti aspettano l’arrivo del corteo funebre dalla camera ardente che da ieri è stata predisposta presso la Cappella Aeroportuale.

Pochi giorni fa è accaduto un gravissimo incidente aereo, nel corso del quale sono deceduti il Comandante di Stormo ed il  suo giovane allievo, alla undicesima missione.

Il più anziano ed il più giovane, il più esperto ed il meno esperto, il primo con le “penne” l’altro ancora con le piume.

Il passato, il presente ed il futuro dell’Aeronautica Militare.

Fra i presenti ci sono dei giovani allievi, colleghi di corso e di quello precedente.

Non posso non ritornare indietro nel tempo  quando, nel 1980, un allievo del corso successivo al mio ed il suo istruttore persero la vita in un similare incidente.

Mi rivedo negli occhi di quei ragazzini schierati, con la divisa ancora priva di aquile, distintivi e nastrini vari: solo il numero distintivo della classe, 1 o 2, cucito sui baveri, le stellette ed i bottoni “ad elle” sulle maniche della giacca.

Stessa uniforme, stessi sogni, stesse ansie, stesse preoccupazioni, stesse incertezze e timori, come i miei 46 anni fa.

Arrivano i feretri fra 2 ali di folla.

Non avrei voluto più vedere delle bare ricoperte dal tricolore, ma oggi non potevo mancare: i due caduti, sebbene sconosciuti, sono per me allo stesso tempo amici, fratelli, figli: in loro si riflette gran parte della mia stessa vita.

La cerimonia volge al termine.

E’ l’ora della Preghiera dell’Aviatore e del “Silenzio” intonato dal trombettiere.

I feretri escono dall’hangar portati a spalla da amici e colleghi degli scomparsi visibilmente commossi.

C’è un “silenzio assordante”, rotto da qualche singhiozzo.

E’ in quel momento che il buon Peppe, affianco a me, mi dice: “Guarda lì! Sembra un segnale”.

Una piccola piuma ed una penna “svolazzano” dondolando sospinte dalla brezza, fino ad appoggiarsi per terra.

Poi, un ulteriore alito di vento le fa  “ridecollare” per farle sparire alla nostra vista.

Qualcuno non crede ai “segnali”.

Io si.

La Cappella aeroportuale del 70° Stormo, sede della camera ardente
Gli Allievi del Primo Corso portano il feretro di Lorenzo
Il feretro del Generale di Brigata Aerea Simone Mettini (foto Aeronautica Militare)
Il feretro dell’Allievo Ufficiale pilota Lorenzo Nucheli (foto Aeronautica Militare)

(In memoria del Colonnello Simone Mettini e dell’Allievo Ufficiale pilota Lorenzo Nucheli)

Chi non muore si rivede! 1° Raduno 46° Centro Protezione Civile

40 anni sono proprio tanti.

Eh… sì… se ci volgiamo indietro e cerchiamo di fare un riassunto di ciò che è stata la nostra vita negli ultimi 40 anni, ci rendiamo conto che è pressoché impossibile narrarlo. Un’enciclopedia non sarebbe sufficiente.

C’è chi afferma che la vita sia come un romanzo, con un inizio, lo sviluppo, il climax e la conclusione e che solo quando si va in pensione ci si accorga che stia iniziando proprio l’ultima parte del romanzo stesso, quella più breve, che conduce alle ultime pagine, quelle non numerate.

In questa fase della vita esistono dei momenti che ti fanno piacevolmente rivivere le esperienze passate e che, grazie alla saggezza che portano le rughe ed i capelli bianchi e la consapevolezza della fuggevolezza del tempo, vorresti assaporare lentamente, come fa un bimbo che gusta a piccoli morsi le patatine per “farle durare di più”.

Una di queste esperienze l’ho vissuta il 23 novembre 2024, quando si è svolto, a Ciampino, il 1° Raduno del 46° Centro Protezione Civile, in occasione del 40° anniversario della sua costituzione.

I più giovani probabilmente non sanno che dal 1984 al 1988 al 15° Stormo (allora a Ciampino) vennero assegnati 4 velivoli Canadair CL215. Fu una tappa fondamentale per il sistema paese, perché permise di mettere le basi del know-how nel settore del servizio di Antincendio Boschivo, tuttora operante.

Fra i piloti, “catapultati” a Ciampino da mezza Italia, solo due, provenienti dalla 46a Brigata Aerea di Pisa, avevano esperienza di Antincendio (A/I) boschivo, avendo già volato con il G222 MAFFS (Modular Airborne FireFighting System). Tutti gli altri provenivano dalle più diverse linee e con migliaia di ore di volo sulle spalle: chi era stato istruttore a Latina – su SF260AM – o a Galatina (LE) – su MB-326 e/o 339 – o ad Amendola (FG) – su Fiat G91T; chi pilota da caccia – su F104; chi cacciabombardiere – su G91Y; chi pilota di Squadriglia SAR – su elicottero AB212 – e collegamenti – su S208 e P166, chi pilota Antisom  – su Breguet 1150 Atlantic – e chi pilota di Radiomisure – su PD808.

Fra gli Specialisti, anch’essi di provata esperienza, vi erano dei marescialloni “de’ artri tempi”, gente che aveva volato col Cant Z, il Grumman HU-16, il Dakota.

I motoristi riuscivano a fare “ad orecchio” la diagnosi di un motore stellare a 18 cilindri, i montatori si portavano a bordo “la cassetta dei ferri” con l’immancabile filo di ferro.

Tutti, in comune, avevano una cosa: la tuta da volo scolorita e gli scarponcini fuori ordinanza.

E poi… c’ero io.

Un pesce fuori dall’acqua, giovane Tenente, zero esperienza da pilota di Reparto, tuta da volo che ancora puzzava di naftalina e prima assegnazione: 15° Stormo – 46° CPC.

Appena arrivato a Ciampino, nel 1984 e nel mezzo della transizione sul Canadair  dei vecchi “manici”, mi misero in coda (ovviamente!) e nel frattempo, per evitare di farmi stare fermo:  “Vai a fare l’abilitazione sugli elicotteri a Frosinone “ – mi dissero – “può sempre servire”.

Tornato da Frosinone, in piena prima campagna A/I boschivo: “Fai l’abilitazione sull’HH3F” – mi ridissero – “ può sempre servire”.

Finita la campagna A/I estiva e l’abilitazione sull’HH3F… “vai a Guidonia a farti un po’ di esperienza sul Piaggione” (il P166 n.d.r.) – mi dissero – “ può sempre servire”.

Insomma, fino a dicembre del 1984 del Canadair sentii solo il rumore, ma anche quello, a dire il vero, mi servì.

Il 1985 fu un’altra storia.

Iniziai a fare la faticosa transizione sul CL215, contrastando lo scetticismo degli anziani che sostenevano “Er Cielle nun è n’aereo pe’ ragazzini…”, ma nel frattempo irrobustii le mie ossa svolazzando per tutta l’Italia con il P166 e il S208 in supporto alla 615a Squadriglia del mitico Nevio Lorenzoni.

Fu un soffio…

Il 31 dicembre del 1987, quando ormai il meccanismo era lubrificato e scorrevole, ci chiusero. Tutti venimmo riassegnati e, a parte qualche flebile tentativo di rivedersi negli anni immediatamente successivi, inesorabilmente ci disperdemmo.

Ritrovarsi qui, dopo 40 anni da quel 1984 non può non suscitare emozioni.

Ci si riconosce subito nonostante il tempo ci abbia cambiati nell’aspetto, con i fisici non più atletici, calvizie, canizie e sovrappesi à gogo, qualche ruga in più e gli immancabili occhiali da vista.

C’è anche chi calza “l’Amplifon”.

Gli occhi lucidi di qualcuno, che smaschera una malcelata emozione, mi ricordano quelli che da bambino aveva mia nonna quando l’andavo a trovare al paese. Ed in effetti più di qualcuno ha l’età della mia nonna di allora.

Le voci però sono le stesse. Stessi timbri, stessi accenti.

Così come gli atteggiamenti ed il portamento.

È bello però sentirli chiacchierare, raccontare e ricordare aneddoti, riiniziare gli sfottò reciproci come se ci fossimo lasciati l’altro ieri.

“Ti ricordi quella volta che…” è la domanda ricorrente.

“Arbanè!” – uno mi chiede – “quanti figli hai?”

Alla mia risposta “3” non nasconde un senso di sorpresa.

“Ma quanti anni so’ passati?” – replica – quasi come se il conteggio del tempo passato si misurasse col numero dei figli e non col calendario.

Siamo presenti però tutti o “quasi” tutti.

Mancano solo i pochi che abitano troppo lontano e che, a causa dell’età, hanno avuto difficoltà a spostarsi.

Ma mancano soprattutto i molti che hanno già spiccato l’ultimo volo e la cui assenza è la dimostrazione che “chi non muore si rivede”.

Antonio Albanese

Foto di gruppo del 46° CPC
Altra foto “storica” del personale del 46° CPC

Foto di gruppo dei radunisti

La tavolata
La torta celebrativa
Sgancio acqua del CL215
Portachiavi e adesivo ricordo
L’autore dell’articolo con il cappellino del Raduno

IL FIAMMIFERO

– di Antonello Albanese –

   Siamo talmente abituati alle comodità offerte dalla civiltà (se così si può chiamare) dei consumi che le poche volte che “salta” la corrente ed il buio ci avvolge, restiamo colti di sorpresa come un gatto affamato che, intento ad assaporare i suoi croccantini nella sua scodella, ha uno scatto di reazione se ci avviciniamo di soppiatto alle sue spalle e lo accarezziamo sulla schiena. Le nostre certezze crollano, come il senso di sicurezza che ci offre la nostra casa: siamo costretti a muoverci a tentoni e non ricordiamo più dove abbiamo riposto la torcia che, immancabilmente, ritroviamo poi a tentoni dentro ad un cassetto, ma con la batteria scarica. Leggi tutto “IL FIAMMIFERO”