POSILLIPO LORAN

– di Bruno Romanini –
 

   La sera del 17 dicembre 1988 il telegiornale delle 20:00 annunciava  la richiesta di aiuto ed il probabile  affondamento di una imbarcazione nel golfo di Napoli.

Per gli operatori del  Soccorso Aereo questa notizia  significava che,  una volta confermata la disgrazia ed in caso negativo dei primi soccorsi, cosa molto probabile date le pessime condizioni meteo marine di quella sera, di li a breve sarebbero scattate le operazioni di ricerca dei dispersi.

Nella notte venimmo allertati e “taskati” per la missione: alle prime luci dell’alba avremmo dovuto iniziare le ricerche nel  golfo di Napoli .

Lo scopo della ricerca era una imbarcazione bianca di 9 metri con 4 persone a bordo, 3 uomini ed una donna. L’imbarcazione era una unità di ricerca dell’università di Napoli, di nome POSILLIPO LORAN.

E fu così che dopo una notte di pianificazioni, partimmo con l’equipaggio al completo, per essere in zona all’alba. Le condizioni meteo-marine erano veramente proibitive e ci trovammo più volte a dover aggirare  delle  bufere di neve e forti temporali.
Anche il raggiungimento dell’aeroporto di Pontecagnano per il rifornimento fu un’avventura a causa di una forte nevicata. Nel pomeriggio, terminato il fenomeno nevoso,  riprendemmo le ricerche, ma appena decollati ricevemmo sul canale di guardia le grida disperate di aiuto di una donna a bordo di una barca a vela coinvolta in un forte temporale con burrasca e ci chiedeva di intervenire perché non erano in grado di governare ed avevano anche un bambino a bordo.

Ripianificammo subito la missione ed insieme all’equipaggio decidemmo di intervenire,  sapendo che il compito sarebbe stato arduo, sono risapute infatti le difficoltà di portare soccorso ad una barca a vela in balia dei marosi. Comunicammo la situazione al centro di coordinamento dei soccorsi per la Posillipo Loran che ci autorizzò l’intervento . Ci buttammo  così in mezzo alla tempesta tenendo sempre il contatto radio con la signora che sembrava impazzita ed in preda al panico. Il contatto radio ci doveva servire anche per rilevare con l’homing la loro posizione. Fu un’impresa difficile in quanto nella tempesta l’aria elettromagnetica faceva oscillare molto le indicazioni. Dopo circa venti minuti di ricerca ormai prossimi all’obbiettivo, si intravidero segni di schiarite e tra un po’ di cielo nuvole e mare spumeggiante vedemmo l’imbarcazione  sbattuta dalle onde.

Ci portammo sulla verticale dell‘imbarcazione ed a quel punto la voce della signora si fece più tranquilla e smise di piangere, la nostra presenza fu la cura. Il temporale nel frattempo era passato e nel cielo apparve anche un po’ di azzurro, roteammo sulle loro teste per parecchio tempo chiedendo cosa intendessero fare. Per noi le operazioni di recupero sarebbero state molto complicate considerando le condizioni del mare sicuramente forza 7/8, ma se avessero deciso di abbandonare l’imbarcazione, in qualche modo li avremmo recuperati.  Loro dapprima ci chiesero se potevamo scortarli sino a Salerno, cosa impossibile perché noi dovevamo comunque  cercare dei  superstiti e questa cosa ci avrebbe portato via tute le ore di luce rimanenti. A quel punto loro ripresisi dalla disavventura decidettero di rimanere a bordo e di proseguire verso Salerno. Gli demmo alcuni consigli per evitare gli altri temporali che erano in zona e riprendemmo la nostra ricerca nella zona assegnata.

Riprendemmo le ricerche sino alle ultime luci, ma con esito negativo e tornammo sulla base di Ciampino, perché il giorno successivo sarebbe decollato un altro equipaggio.

Nei  giorni a seguire, furono effettuate numerose missioni  per cercare di rintracciare eventuali superstiti,  e la zona di ricerca diventava sempre più ampia, allontanandosi anche 90 / 100 miglia dal golfo di Napoli.

Il quinto giorno, 21 dicembre, ero di nuovo di turno, insieme al Cap. Livio Carpino, 2° pilota, al Mllo Carmelo Donnarumma ed al S.M. Affetto Zona Affetto, all’infermiere M.llo Ettore Gagliano e all’aerosoccorritore S.M. Rosario Memoli; ovviamente visto l’esito negativo delle ricerche dei giorni precedenti, fummo  “taskati” per riprendere le ricerche alle prime luci del giorno seguente e così avvenne. Decollammo di notte per trovarci all’alba al largo al traverso di Napoli.

Dovevamo perlustrare una zona vastissima che andava da 5 NM ovest di Ischia alla congiungente 5 NM ovest di Capri per una profondità di circa 30 NM nella direttrice SUD-OVEST.

Il mare era poco mosso ed il cielo sereno, ovviamente partecipavamo alle ricerche con altri mezzi aerei e navali, con i quali ci scambiavamo informazioni circa avvistamenti  di scarso valore.

Per ottimizzare la ricerca e coprire tutta l’area , sulla base della nostra autonomia decisi di fare una ricerca  QKP5, che è un rastrello a bracci paralleli,  partendo da SUD in modo da completare le ricerche vicini al nostro punto di rifornimento che come pianificato era l’aeroporto di Grazzanise.

E così fu, infatti dopo quasi sette ore di volo, completammo la ricerca e dirigemmo su Grazzanise, ormai prossimi alla riserva di carburante, tant’è che atterrammo con le spie di basso livello accese. All’atterraggio, il secondo pilota alle sue prime esperienze, tirò un sospiro di sollievo ed andammo tutti a sgranchirci le gambe ed a ristorarci, sapendo che presto ci avrebbero riassegnato  una nuova missione .

Infatti, mentre eravamo al circolo Ufficiali , con il Comandante della base che chiedeva notizie,   arrivò l’ordine di decollo, questa volta la zona da esplorare era 90 NM a SUD di Capri, in mezzo al Tirreno.

Il centro di coordinamento, in base alle correnti marine e venti di quei giorni, stimò quel punto come maggiormente probabile, assegnandoci  pertanto una ricerca a settori circolari con il centro coincidente con il punto assegnato per l’inizio ricerca, lasciando a noi la scelta sulla direttrice d’attacco per l’inizio delle operazioni.

Decollammo subito, anche perché le luci del giorno rimanenti non erano molte e mentre dirigevamo in zona facemmo una serie di ragionamenti finalizzati al buon esito della missione. Considerando le correnti marine di quei giorni le zone già esplorate e la nostra provenienza, decidemmo di entrare in zona  da NORD. Impostammo il computer di bordo per una corretta ricerca ed il copilota si era programmato le varie cartine con tutti i riferimenti per una corretta triangolazione delle varie tratte, facemmo un briefing dettagliato sulle varie azioni e procedure da seguire per cui approssimandoci all’inizio delle operazioni di ricerca ognuno era al proprio posto, consapevole di quale fosse il proprio compito.

Entrando in zona, demmo l’orario di inizio ricerche al Centro di coordinamento. L’aria era sempre serena, ma il mare era piuttosto agitato e con onde, che anche se non spumeggiavano erano molto alte.

Appena entrati nella fase attiva dell ricerca, circa sessanta miglia nautiche a sud di Sorrento l’aerosoccorritore che controllava il lato destro dell’elicottero, lanciò un urlo dicendo che aveva visto qualcosa ad ore due, ma non lo vedeva più e subito si portò in prossimità della cabina di pilotaggio.

Mentre io facevo una virata a destra, il secondo pilota marcava il punto sul computer , per non perdere il riferimento e gli specialisti come da procedura prepararono una fumata, per marcare eventualmente la posizione . Estendemmo il braccio sottovento, ma non si vide nulla; cercai quindi di ristabilire le condizioni iniziali di rotta, quota e visibilità, considerando che il sole era quasi al nostro traverso e concentrammo maggiormente le attenzioni al lato destro dell’elicottero.

Di nuovo un urlo dell’aerosoccorritore:

“è lì, è lì, ad ore due”

Questa volta mettemmo a fuoco subito qualcosa che galleggiava, sollevata da un’onda. A causa delle onde, molto alte, questa immagine scompariva frequentemente alla vista, ma ormai ognuno di noi aveva fissato la posizione nello spazio e con una brusca virata mi portai in prossimità di questo “qualcosa”. Una volta avvicinati distinguemmo che l’oggetto galleggiante erano due gommoncini di salvataggio, uniti tra loro, ognuno dei quali con una persona a bordo, di cui uno solo però dava segni di vita, gesticolando con le mani. Lanciammo subito due fumate da  45 minuti per essere certi di non perdere la posizione e demmo la notizia al centro di coordinamento dei soccorsi; Il personale del centro, incredulo, chiese più volte la conferma del ritrovamento. Dopo aver confermato il ritrovamento chiedemmo il silenzio radio per effettuare le procedure di recupero che si preannunciavano complesse viste le condizioni del mare.

Volteggiando sulla verticale dei naufraghi, decidemmo le procedure per il recupero. Ci portammo quindi in prossimità dei battelli e verricellammo l’aerosoccorritore. Nonostante gli avessi raccomandato  di non staccarsi dal verricello per evitare di perderne il contatto a causa dell forte mare, lui si staccò per praticità e nuotò portandosi vicino al primo gommone; fece imbragare il superstite e si reimbragò a sua volta.  Effettuammo così il recupero di entrambi con la braga doppia. Nella fase di recupero , il poveretto rischiò di perdere i pantaloni più volte, a causa del forte dimagrimento subito per la lunga permanenza in mare, senza cibo e senza  acqua.

Una volta a bordo, mentre gli venivano prestate le prime cure, ci disse che si chiamava Francesco DI LIELLO (in basso nel riquadro a destra) e ci  informò che erano gli unici scampati al naufragio e che il compagno era deceduto il giorno prima e lui lo aveva spostato nell’altro gommone.

Nonostante ciò facemmo riscendere nuovamente l’aerosoccorritore in mare, per accertarsi delle reali condizioni dell’altro naufrago, che purtroppo effettivamente risultò privo di vita.

A questo punto diventava prioritario portare al più presto il superstite presso un ospedale per le cure necessarie, perchè le sue condizioni di salute erano comunque serie, e ciò dovuto non solo alla ipotermia, ma anche alla disidratazione e denutrizione oltre al notevole stress. Pertanto dopo aver segnalato nuovamente la posizione ci dirigemmo a tutta velocità verso l’aeroporto di Capodichino, dove ci stavano aspettando un’autombulanza ed i parenti del superstite.

Noi fummo ritascati ancora una volta per tornare sul luogo del ritrovamento e indirizzare le unità  navali che sarebbero intervenute per il recupero della salma.

Purtroppo in zona non c’erano unità della MMI ed i mezzi della Capitaneria di porto non poterono raggiungere il punto per le condizioni del mare e la distanza. Fu dirottata una nave sovietica, ma anche per loro, le operazioni di recupero non furono possibili, nonostante diversi tentativi; pertanto  intorno alle ore 22:00 noi fummo autorizzati a rientrare a Ciampino in quanto il compito di sorvegliare i gommoni con la salma fu assegnato alla nave sovietica.

Il viaggio di ritorno fu un’alternanza di considerazioni e stati d’animo per l’esito della missione, positivo perchè comunque avevamo salvato e restituito un papà, marito e figlio, ai rispettivi cari, ma con il pensiero ed il dubbio che forse si sarebbe potuto fare di più.

Quella sera al Gruppo c’era la cena di Natale con le famiglie, Noi ovviamente arrivammo in ritardo, ma l’accoglienza fu strepitosa!. E noi eravamo esausti, ma fieri ed orgogliosi del risultato ottenuto.


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